Ci sono fasi in cui la realtà si muove velocemente, come è stato tra il 2020 e il 2022. Ci sono poi altre fasi, come l’attuale, in cui la realtà appare stabile. In queste fasi la battaglia delle idee si trasforma in una guerra di trincea, in cui le diverse posizioni e interpretazioni mantengono il loro spazio e si affinano, senza avere però la capacità di sfondare le linee avversarie.
Ci sono fasi in cui la realtà si muove velocemente, come è stato tra il 2020 e il 2022. Ci sono poi altre fasi, come l’attuale, in cui la realtà appare stabile. In queste fasi la battaglia delle idee si trasforma in una guerra di trincea, in cui le diverse posizioni e interpretazioni mantengono il loro spazio e si affinano, senza avere però la capacità di sfondare le linee avversarie.
L’esempio più evidente è quello dei due partiti, quello dell’inflazione transitoria e quello dell’inflazione strutturale, che sono a loro volta discendenti diretti delle due fazioni opposte, quella dell’inflazione da offerta e quella dell’inflazione da domanda. Entrambe le fazioni ritengono di stare vincendo, la prima perché l’inflazione si è dimezzata rispetto ai massimi, la seconda perché l’inflazione è ancora alta e perché la sua discesa è vistosamente rallentata.
Questi due campi opposti possono essere definiti dei programmi di ricerca che generano continuamente corollari e varianti che catturano una parte di verità ma che non vengono mai né confermati né smentiti da una realtà sottostante che si mantiene ambigua e poco decifrabile. Ne facciamo una rapida ricognizione, ordinata per temi ma senza pretese di sistematicità.
Recessione. Tutto bene. I timori di recessione a seguito della normalizzazione monetaria circolano da un anno, ma la recessione non c’è stata o è stata solo un fatto statistico. Se un segno negativo del Pil non crea disoccupazione e non fa scendere i consumi, la recessione è praticamente inavvertibile. Fin qui tutto a posto, quindi. Quanto al futuro, non si vede perché le cose debbano per forza cambiare in peggio.
Tutto male. L’economia può essere misurata sia dal lato del prodotto (GDP) sia dal lato del reddito (GDI). Il risultato, in qualsiasi momento, dovrebbe essere lo stesso. Nei fatti, tuttavia, il GDI è anticipatore del GDP. Il fatto che il GDI americano sia negativo da due trimestri è quindi un brutto segnale.
Tutto bene. Nel GDI che scende è inclusa una contrazione dei profitti. Questa contrazione, a ben vedere, è però fortemente influenzata dalle grosse perdite realizzate dalla Federal Reserve, che normalmente chiude i suoi esercizi in utile. Le perdite della Fed sono però solo contabili e quindi irrilevanti. Se un’impresa normale che perde soldi tende a licenziare e a tagliare gli investimenti, la Fed non licenzia nessuno e si ricapitalizza come e quando vuole creando i fondi necessari.
Inflazione. Tutto bene. Scenderà al 2 da sola, senza sforzo ulteriore, e per qualche tempo resterà anche sotto quel livello. Basta aspettare che lo shock da offerta finisca di rientrare.
Tutto bene. L’inflazione è al 4 e ci resterà. E con questo? Siamo in piena occupazione, le borse salgono, gli utili sono buoni. Di cosa ci lamentiamo? Lasciamola al 4, evitiamo di farci del male con una recessione per il capriccio di riportare l’inflazione al 2 e godiamoci la vita.
Tutto male. Se il 4 è il nuovo 2 con un’economia stagnante, il 4 tornerà al 6 quando un giorno l’economia tornerà ad accelerare. In pratica, più lasciamo mettere radici al 4, più profonda dovrà essere la recessione il giorno in cui vorremo disfarci dell’inflazione.
Multipli. Tutto bene. Siamo a 18 sull’SP 500, un livello più che accettabile in vista dell’inflazione che ritornerà presto al 2.
Tutto male. Quando il mercato capirà che l’inflazione al 4 è qui per restare, i multipli dovranno essere corretti verso il basso.
Profitti. Tutto bene. Hanno resistito ottimamente con un ciclo di rialzo dei tassi particolarmente aggressivo. Sorprenderanno positivamente quando i tassi inizieranno a scendere e l’economia si riprenderà.
Tutto male. I profitti sono stati sostenuti dalla discesa dell’inflazione, che ha aiutato la domanda reale dei consumatori. Se l’inflazione tornerà al 2 e le attese si stabilizzeranno il pricing power delle imprese si indebolirà.
Crisi bancarie. Tutto male. Le banche dovranno iniziare a pagare interessi crescenti ai depositanti a fronte di un portafoglio di titoli lunghi immobilizzati che continuerà a rendere poco. A questo si unirà la pressione dei regolatori per un rafforzamento del capitale. Ne seguirà un credit crunch proprio mentre l’economia continua a rallentare di suo.
Tutto bene. A loro modo le crisi bancarie, purché circoscritte, sono provvidenziali perché tarpano le ali ai falchi delle banche centrali che vorrebbero alzare ancora i tassi.
Occupazione. Tutto bene. Negli ultimi mesi siamo rimasti in un contesto di pieno impiego che certifica la vitalità dell’economia. Ogni tanto qualche indicatore segnala un rallentamento, ma questo, lungi da indicare un autentico indebolimento strutturale, è letto dai mercati positivamente. Un mercato del lavoro forte, ma non surriscaldato, costituisce il migliore dei mondi possibili.
Tutto male. Il migliore dei mondi possibili, per definizione, può solo peggiorare. Non si è mai vista una discesa seria dell’inflazione che non fosse accompagnata da un aumento di uno-due punti percentuali nel numero dei disoccupati. Se l’occupazione rimarrà forte le banche centrali dovranno riprendere ad alzare i tassi. Se si indebolirà sul serio sarà un indicatore di recessione e per le borse non sarà una buona notizia.
Conclusioni. Le argomentazioni positive e negative che abbiamo riassunto hanno un peso sostanzialmente simile, almeno per il momento. In tale contesto, è il posizionamento a dettare l’andamento giorno per giorno dei mercati. L’anno scorso ha visto la drastica correzione degli entusiasmi del 2021 e le pesanti vendite della prima parte dell’anno hanno lasciato i portafogli scarichi. Da ottobre a oggi i portafogli hanno recuperato un assetto equilibrato, così che oggi la volatilità e la direzionalità del mercato si sono ridotte.
Se l’inflazione non continuerà a scendere, le banche centrali si troveranno a dover scegliere tra recessione e accettazione di fatto di un’inflazione al di sopra dei loro obiettivi ufficiali. Non faranno una scelta netta, ma nella pratica cercheranno di evitare la strada della recessione. Se sarà così ai mercati piacerà, ma il prezzo da pagare sarà una crescita dell’economia molto bassa per un lungo periodo.
Se invece l’inflazione riprenderà a scendere, tutto sarà più facile per tutti.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist del Gruppo e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.