Una volta i manuali scolastici erano più piccoli di dimensione, ma erano talmente densi da creare negli studenti il bisogno di supporti (i bigini, nel lessico dell’Italia settentrionale) che contenevano riassunti e, soprattutto, schemi chiari e semplici. Oggi le case editrici pubblicano manuali immensi, che al loro interno contengono anche riassunti e schemi. Molti studenti, tuttavia, preferiscono ancora ripassare (o studiare) sui libriccini di supporto, perché le loro ridotte dimensioni li intimidiscono meno e perché gli schemi che trovano al loro interno sono particolarmente curati.
Una volta i manuali scolastici erano più piccoli di dimensione, ma erano talmente densi da creare negli studenti il bisogno di supporti (i bigini, nel lessico dell’Italia settentrionale) che contenevano riassunti e, soprattutto, schemi chiari e semplici. Oggi le case editrici pubblicano manuali immensi, che al loro interno contengono anche riassunti e schemi. Molti studenti, tuttavia, preferiscono ancora ripassare (o studiare) sui libriccini di supporto, perché le loro ridotte dimensioni li intimidiscono meno e perché gli schemi che trovano al loro interno sono particolarmente curati.
Proviamo allora anche qui a schematizzare i rapporti possibili tra le due variabili storicamente più importanti per decidere le sorti dei mercati finanziari, la crescita dell’economia e l’inflazione. Distinguiamo tra quattro stati possibili e li elenchiamo in ordine di preferenza dal migliore al peggiore.
1. Alta crescita e bassa inflazione. È il migliore dei mondi possibili, naturalmente, ma ha il difetto di non essere così frequente nella storia come vorrebbe farci credere una certa mitologia dell’età dell’oro che ci saremmo lasciati alle spalle per colpa dei nostri errori. Nel mitologico Ottocento, ad esempio, l’inflazione fu certamente bassa (e spesso ci fu deflazione), ma la crescita media non fu così alta come si potrebbe pensare. Andò meglio negli ancora più mitologici anni Cinquanta del Novecento, ma non bastò a scaldare più di tanto i cuori dei mercati azionari, che si mantennero prudentissimi e continuarono ad applicare agli utili dei multipli straordinariamente bassi.
2. Alta crescita e alta inflazione. È il nuovo mondo post-pandemico in cui qualsiasi asset va bene purché non sia il cash. Per ritrovare precedenti recenti dobbiamo risalire ad alcune fasi degli anni Novanta e Duemila.
3. Bassa crescita e bassa inflazione. È il mondo del decennio scorso, che i mercati si raccontarono compiaciuti come Goldilocks e che Larry Summers definì più brutalmente come stagnazione secolare.
4. Bassa crescita e alta inflazione. Detta anche stagflazione, questa è la condizione in cui si ritrovarono gli altrettanto mitologici (questa volta in senso negativo) anni Settanta.
I dati odierni relativi al terzo trimestre negli Stati Uniti danno in apparenza ragione a quelli che sostengono che stiamo gradualmente scivolando dal secondo al quarto scenario. Con l’inflazione al 5.7 (più alta del previsto) e con il Pil annualizzato al 2.0 (un terzo di quello che ancora in primavera si pensava che sarebbe stato) la stagflazione, sostengono, è quasi realtà.
Le cose sono però più complicate e gli schemi, che spesso sono d’aiuto, possono talvolta essere fuorvianti. Lo schema che abbiamo tratteggiato sopra, basato su crescita e inflazione, va infatti integrato con altri due elementi prima di dirci cosa ci dobbiamo aspettare dai mercati finanziari. Il primo è la direzione in cui si stanno muovendo crescita e inflazione. Il secondo è la funzione di reazione delle banche centrali rispetto all’inflazione.
Riguardo alla direzione, possiamo fortunatamente dire che il terzo trimestre è stato un’anomalia. La variante delta ha infatti depresso sia la domanda sia l’offerta, facendo così scendere la crescita e gonfiando l’inflazione. Ora che l’impatto della variante sembra attenuarsi (quanto meno nei paesi più sviluppati dell’Occidente) è probabile che già in questo quarto trimestre vedremo un’accelerazione della domanda e un attenuarsi, quantomeno in alcuni settori, delle tensioni sull’offerta. Avremo quindi un Pil in ripresa e un’inflazione che ben difficilmente salirà ancora e che verosimilmente si avvierà su un lento percorso discendente.
Riguardo alla funzione di reazione delle banche centrali rispetto all’inflazione, va ricordato che siamo entrati in un mondo nuovo. In quello precedente i tassi venivano alzati per prevenire l’inflazione, ma nel mondo nuovo c’è una benigna indifferenza verso i prezzi che salgono e i tassi vengono mantenuti vicino a zero.
Poiché ai mercati l’inflazione interessa nella misura in cui muove i tassi, se i tassi non vengono mossi è come se l’inflazione non esistesse. Nel mondo dei bond e delle borse, quindi, siamo oggi più vicini al primo scenario (alta crescita e inflazione bassa) che non al secondo.
Questa condizione di Nirvana non durerà in eterno. Se l’inflazione scenderà e i tassi verranno tenuti stabili vicino a zero, i tassi reali, pur restando negativi, saliranno. Ma poiché l’inflazione non scenderà molto, la stretta sarà poco avvertibile. Con una stretta poco avvertibile e una crescita dell’economia in riaccelerazione i mercati avranno l’anno prossimo qualche spazio per esplorare nuovi massimi. Guardando oltre, la durata di questo scenario positivo verrà decisa alla fine dall’andamento della produttività.
Concludiamo con un’ultima osservazione. In uno studio appena pubblicato, Goldman Sachs confronta la crescita globale media negli anni Novanta, 2000 e 2010. La conclusione interessante è che, sia calcolata in valuta corrente, sia calcolata in parità di potere d’acquisto, tale crescita, da un decennio all’altro, è stata molto simile e si è aggirata intorno al tre per cento all’anno.
Abbiamo dunque vissuto convulsioni di ogni tipo, vere o percepite, ma la crescita si è sempre riposizionata intorno al baricentro del tre per cento. Molto ha contato la Cina, che con la sua politica anticiclica rispetto al resto del mondo ha svolto un importante ruolo di stabilizzazione.
Riteniamo che nel decennio che si è aperto, nonostante le nuove politiche economiche, non ci discosteremo molto da questa sorta di velocità di crociera. Questa volta, tuttavia, ci sarà un maggiore contributo dei paesi occidentali e una progressiva decelerazione cinese.
Venendo al breve termine, i mercati azionari, dopo avere terminato la correzione e fatto segnare nuovi massimi, si avvicinano ora con qualche trepidazione all’avvio imminente del tapering. C’è anche una certa confusione sulla data di avvio del rialzo del ciclo di rialzo dei tassi americani, che il mercato vede ora già a metà dell’anno prossimo e la Fed alla fine del 2022 se non all’inizio del 2023. Il mercato, a nostro avviso, avrà ragione solo se la crescita dell’economia sarà molto forte.
Sappiamo che, da sempre, il mercato azionario incassa benissimo il rialzo dei tassi in presenza di crescita forte. L’unico scenario che l’azionario può a questo punto temere è che la Fed alzi i tassi in un momento in cui l’economia sta iniziando a rallentare. Si tratta però di dinamiche che non riguarderanno i prossimi sei mesi e per le quali non ha molto senso preoccuparsi oggi.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.