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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

AGOSTO

Il mese delle sorprese e della volatilità

Agosto è un mese difficile per i gestori anche quando non succede molto. Il mercato si assottiglia proprio mentre il posizionamento, negli anni normali, è andato crescendo nei mesi precedenti. Mercato sottile e posizionamento aggressivo, presi uno alla volta, possono rendere il mercato particolarmente vulnerabile rispetto a qualsiasi novità. Se si presentano insieme, possono creare molta volatilità.

Agosto è un mese difficile per i gestori anche quando non succede molto. Il mercato si assottiglia proprio mentre il posizionamento, negli anni normali, è andato crescendo nei mesi precedenti. Mercato sottile e posizionamento aggressivo, presi uno alla volta, possono rendere il mercato particolarmente vulnerabile rispetto a qualsiasi novità. Se si presentano insieme, possono creare molta volatilità.

L’anno scorso, all’inizio di agosto, bastò la riduzione di alcune posizioni di carry trade sullo yen per mettere in moto una valanga globale che in 8 giorni portò la borsa americana da 5522 a 5186. Il Vix arrivò a sfiorare 40, i margini esplosero e alcuni gestori furono costretti a chiudere malamente una parte delle loro posizioni.

Quest’anno, agosto ci ha già regalato varie sorprese. La prima è negativa e riguarda la massiccia revisione al ribasso dei dati sull’occupazione in America. Ricordiamo che la narrazione rialzista dei mercati azionari è stata basata, a partire da maggio, sul fatto che l’incertezza creatasi in aprile intorno ai dazi non avrebbe alla fine prodotto effetti tangibili sulla crescita, sull’occupazione e sui prezzi. Il fatto che il mercato del lavoro abbia invece dato segnali di debolezza ha fatto venire meno uno dei pilastri di questa tesi.

Il mercato ha però velocemente sostituito il pilastro dell’occupazione con quello di una Fed finalmente ammorbidita, che già da settembre potrebbe avviare un ciclo di ribasso dei tassi. Le dimissioni di Adriana Kugler da governatore della Fed, anch’esse una sorpresa, accelerano questo ammorbidimento anche perché la Kugler, a suo tempo nominata da Biden, verrà sostituita in tempi record da un fedelissimo di Trump. Dal fronte dei falchi della Fed si è poi distanziata Mary Daly, governatore della Fed di San Francisco ed economista del lavoro, che si è detta pronta a tagliare i tassi fin da subito. Sembrano intanto salire le quotazioni di Waller, una figura rispettata dai mercati e da Powell stesso, come prossimo presidente della Fed. Se così fosse, si tratterebbe di una buona notizia sia per l’obbligazionario sia per l’azionario.

Una seconda grande sorpresa è arrivata dal fronte geopolitico. L’incontro tra Trump e Putin organizzato d’urgenza per la settimana prossima fa ben sperare. Difficilmente si organizzano vertici di questo tipo se non c’è almeno qualche possibilità che si producano dei risultati. Lo stesso vale per il vertice tra Trump e Xi previsto entro la fine dell’anno. Naturalmente i vertici possono anche concludersi con un nulla di fatto e gli accordi possono essere successivamente disattesi, ma il fatto che il quadro geopolitico rimanga almeno tatticamente fluido e che gli avversari siano disponibili al dialogo va registrato come positivo.

Di fronte a queste sorprese maggiori, altre sorprese, che in tempi normali muoverebbero i mercati, sembrano ordinaria amministrazione. Ci riferiamo ai continui aggiustamenti ai dazi, che negli ultimi tempi sono diventati quotidiani, o al nuovo fondo di sostegno per l’industria, 100 miliardi, di cui la Germania ha deciso di dotarsi.

Agosto ha ancora tre settimane e ha ancora un cammino pieno di incognite davanti a sé. Una di queste è l’inflazione americana, quella potenzialmente più sensibile ai dazi, che vedremo la prossima settimana. L’inflazione sotto controllo è uno dei pilastri della narrazione rialzista. Il mercato la prevede ancora stabile. Se così fosse, sarebbe un’ottima notizia, anche se resterebbe irrisolto il mistero di chi, alla fine, pagherà i dazi. Per ora i prezzi delle importazioni americane non sono scesi (segno che non sono gli esportatori asiatici ed europei ad addossarsi l’onere), mentre i profitti delle società americane battono le attese (segno che le imprese scaricano i dazi sui consumatori finali) ma se i prezzi finali alla fine non aumentano si può quasi parlare di un miracolo.

Un’altra potenziale sorpresa sarà costituita, in tempi brevi, dalle sentenze della magistratura americana sui dazi, che potrebbero essere cancellati con un tratto di penna. Seguirà un mese di attesa per la sentenza della Corte Suprema, che non è affatto scontata. L’amministrazione Trump potrà dunque trovarsi a un certo punto a dovere ricominciare tutto daccapo.

Ma intanto il tempo scorre veloce e le elezioni del novembre 2026 sono sempre più vicine. Trump sa che potrebbe perdere il Congresso e che, per evitarlo, l’unica strada percorribile è quella di una riaccelerazione della crescita e di una buona tenuta dei mercati finanziari. Da qui le pressioni sulla Fed perché abbassi i tassi e la ricerca di investimenti industriali dall’estero (previsti dagli accordi sui dazi con Giappone, Unione Europea e Corea) e dall’interno (come indicato dall’accordo con Apple per il rimpatrio di alcune linee produttive). Trump spera poi negli effetti positivi della deregulation e del prezzo stabile dell’energia. L’arma decisiva, in cui una parte del mercato crede già, è che a un certo punto, l’anno prossimo, i dazi vengano abbassati. Alzare il tiro per poi abbassarlo, aveva scritto l’anno scorso Stephen Miran, capo dei consiglieri economici di Trump, a proposito dei dazi.

Per gli investitori, come si vede c’è molto su cui riflettere. L’instabilità americana conferma l’importanza della diversificazione geografica dei portafogli, anche se la tecnologia rimane più che mai il fattore decisivo per la crescita degli utili. I bond rimangono in una posizione strategicamente impegnativa per via del debito crescente, ma possono godere di una fase positiva per effetto della svolta imminente nella politica monetaria americana.

Le valutazioni azionarie, dal canto loro, sono elevate, ma senza una recessione, un aumento dell’inflazione o un deterioramento del quadro geopolitico, la tendenza inerziale verso nuovi massimi può ancora continuare.

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