
BYE BYE AI
Il primo modello di rete neurale artificiale risale al 1943, quando McCulloch e Pitts crearono il primo percettrone, un algoritmo di apprendimento supervisionato. Il grande pubblico si è però affacciato all’intelligenza artificiale solo nel 2022, quando OpenAI ha lanciato ChatGPT. Ricordiamo le prime conferenze sul tema. Avevano un sapore tardo ottocentesco, con il pubblico a bocca aperta che ascoltava estasiato le mirabolanti promesse di progresso illimitato e in tempi brevi della scienza e della condizione umana.
Il primo modello di rete neurale artificiale risale al 1943, quando McCulloch e Pitts crearono il primo percettrone, un algoritmo di apprendimento supervisionato. Il grande pubblico si è però affacciato all’intelligenza artificiale solo nel 2022, quando OpenAI ha lanciato ChatGPT. Ricordiamo le prime conferenze sul tema. Avevano un sapore tardo ottocentesco, con il pubblico a bocca aperta che ascoltava estasiato le mirabolanti promesse di progresso illimitato e in tempi brevi della scienza e della condizione umana.
Questa accoglienza acritica generò per reazione commenti acidi, il più celebre dei quali fu rilasciato da un’esperta di linguistica computazionale, Emily Bender, che definì i linguaggi artificiali come pappagalli stocastici che non capivano nulla di quello che dicevano e che si basavano solo su modelli statistici.
A distanza di tre anni, possiamo dire che l’AI, pur rimanendo profondamente diversa dall’intelligenza umana (e animale), ha fatto grandi progressi. Le stesse voci critiche provenienti dall’interno di quel mondo non negano i passi avanti e le potenzialità, anche se fanno notare che sperare di fare salti miracolosi di qualità basandosi semplicemente sulla forza bruta di una potenza di calcolo allargata a dismisura (invece che su un ridisegno radicale dei linguaggi e della logica loro sottostante) si rivelerà un errore particolarmente costoso.
Il pappagallo stocastico appare dunque sempre più bravo a simulare l’intelligenza, comincia a imparare a ragionare e si mostra capace di risolvere alcuni problemi complessi. Rimane in compenso non completamente affidabile, anche perché opera sulle parole e non ha un’esperienza del mondo.
I mercati finanziari sono rimasti stregati dall’incantesimo dell’AI e sono arrivati, tra settembre e ottobre di quest’anno, ad abbandonare ogni forma di autocontrollo. Le promesse di alcuni produttori di linguaggi (cureremo il cancro, faremo esplodere la produttività, elimineremo il bisogno di lavorare) sono state accolte senza spirito critico. L’ingegneria finanziaria fatta di finanza circolare e di vendor financing ha permesso a società che non hanno un soldo in cassa di raggiungere valutazioni vicine al trilione di dollari.
Nelle ultime settimane i mercati hanno iniziato a fare qualche conto e a diventare selettivi. I soldi sono restati nel settore, ma sono usciti da qualche titolo per entrare su altri. Ci si è resi conto che molte delle operazioni annunciate sono a debito e si è messo in discussione il merito di credito delle società più aggressive. Chi era apparso audace è stato riclassificato come arrischiato e severamente punito.
Si tratta di un ripensamento da leggere positivamente. Abbiamo già visto annunci di rinvii di progetti che forse, alla fine, verranno cancellati tout court. Il precedente delle fibre ottiche nel 1999-2000, quando si crearono eccessi di capacità tali da fare fallire alcuni tra i maggiori operatori, insegnano che l’eccesso di offerta è spesso il fattore che fa scoppiare le bolle. Meglio agire per tempo, dunque.
C’è però un altro test all’orizzonte ed è molto più impegnativo di quello dell’indebitamento e della solidità patrimoniale. Ci riferiamo al test della redditività dei massicci investimenti in AI. Finora i mercati hanno messo nel cassetto questo problema e fatto un atto di fede sui ricavi che un giorno arriveranno. E non c’è dubbio che arriveranno, ma quando? E quanto? Sarà questione di un anno, forse due, ma è inevitabile che i mercati vogliano a un certo punto vedere, oltre ai progressi tecnologici, anche il ritorno economico.
Intendiamoci. Il mondo dell’AI gode di un fortissimo supporto politico. Come si è visto con Intel, l’amministrazione Trump (e anche quelle che verranno dopo, quasi certamente) è più che disponibile a entrare con soldi pubblici nelle imprese strategiche del settore in difficoltà. Con Oracle, stiamo già vedendo Blackstone, un’altra impresa vicina all’amministrazione, pronta a entrare in azione con nuovo capitale di supporto. Queste imprese, dunque, non saranno in nessun caso abbandonate, ma aiuti e salvataggi avranno comunque un prezzo da pagare in termini di diluizione del capitale.
Il mondo dell’AI è una macchina complessa. I produttori di linguaggi hanno bisogno dei fornitori di potenza di calcolo, i quali a loro volta richiedono fornitori di processori da alimentare con energia elettrica. Tutto fila liscio se a monte c’è un’ampia domanda di AI, ma tutto rischia di incepparsi se questa domanda si rivela deludente. Certo, gli hyperscalers hanno alle spalle grandi conglomerate tecnologiche che possono assorbire i rischi, ma l’alta intensità di capitale rischia di diventare un peso e di diminuire la redditività.
In pratica, l’AI sta entrando, in borsa, in una fase di limbo, probabilmente di qualche mese, in cui difficilmente vedremo nuovi massimi significativi. In compenso, il resto dei comparti azionari ha tutto lo spazio per raccoglierne l’eredità, tanto per effetto della rotazione quanto per il buon andamento delle economie e, dagli ultimi segnali, anche dell’inflazione.
Un piccolo caveat. L’economia americana va bene grazie (almeno per metà) agli investimenti in AI. Se le quotazioni di borsa del settore dovessero cominciare a correggere in modo rilevante, salirebbe la pressione sulle imprese per un rinvio o una cancellazione di una parte degli investimenti programmati. Di conseguenza, la crescita economica complessiva verrebbe penalizzata.
C’è però spazio per una lettura positiva. Se l’AI, in borsa, finirà con il subire solo una temporanea correzione e avrà un andamento laterale per qualche altro mese, gli investimenti nel settore subiranno qualche rallentamento (che sarà benvenuto se sarà dovuto a una maggiore attenzione per le redditività da parte delle imprese) ma la crescita delle economie continuerà.
All’AI diciamo dunque arrivederci, non addio. D’altra parte, fuori dall’AI c’è solo l’imbarazzo della scelta. Il resto della borsa americana, la Cina che rilancia i consumi e che deciderà prima o poi di rivalutare il renminbi, l’America Latina in rapido e sistematico riallineamento con gli Stati Uniti, l’Europa in graduale accelerazione per tutto il 2026. E poi le materie prime industriali e l’oro, che la Cina continuerà ad acquistare. E le obbligazioni lunghe, che con l’inflazione in discesa riprendono a essere interessanti.
ARCHIVIO
Alessandro Fugnoli
Strategist
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.