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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

FILOSOFIE D’INVESTIMENTO

Leibniziani, leopardiani, nichilisti e opportunisti

Ci sono tanti stili e filosofie d’investimento quante teste pensanti. Anche all’interno di una singola testa pensante gli stili possono variare da un minuto all’altro. Il classico esempio è quello di un titolo che compriamo con spirito speculativo e che poi riclassifichiamo mentalmente come investimento a lungo termine quando il suo andamento va contro le nostre attese. E poi variano in ogni caso le circostanze.

Ci sono tanti stili e filosofie d’investimento quante teste pensanti. Anche all’interno di una singola testa pensante gli stili possono variare da un minuto all’altro. Il classico esempio è quello di un titolo che compriamo con spirito speculativo e che poi riclassifichiamo mentalmente come investimento a lungo termine quando il suo andamento va contro le nostre attese. E poi variano in ogni caso le circostanze.

Pur con infinite varianti e sfumature, possiamo comunque provare a raggruppare in quattro grandi famiglie le filosofie che stanno alla base della quasi totalità degli stili d’investimento, per poi vedere come rispondono alla sfida dei tempi attuali.

La prima grande famiglia la chiameremo leibniziana. Vivevamo nelle caverne e ora andiamo sulla Luna. La storia è storia di progresso e di crescita. Viviamo meglio di ieri e domani vivremo meglio di oggi. Ci sono ogni tanto increspature in questo processo, ma se guardiamo le cose con un minimo di prospettiva vediamo un grande e placido fiume che procederà maestoso nel migliore dei mondi possibili fino alla fine dei tempi.

Questa filosofia della storia sta alla base dei long only, dei piani di accumulo, dei buy and hold, dell’azionario che alla fine sale sempre e batte tutto il resto e del sovrappeso dei titoli di crescita. Negli ultimi anni si è allargata molto nella variante dell’investimento passivo. Il mondo è così bello e completo nella sua varietà che non vale la pena cercare di selezionarne le parti migliori e scartarne le peggiori. Tutto ha del resto una sua ragione (e questa è una variante hegeliana) e quindi compriamo l’indice e non ci pensiamo più.

La seconda grande famiglia non nasce leopardiana, ma lo diventa. Nasce nel mondo innocente delle Bucoliche, dove una vita operosa e onesta porta alla formazione di sudati e meritati risparmi, per i quali non si chiede che il mantenimento del loro valore e una modesta remunerazione. Ma dalle sorridenti Bucoliche si arriva per gradi prima alle Georgiche (il lavoro è lotta faticosa contro la natura) poi al primo Leopardi (la natura/storia è perfettamente indifferente al nostro destino) per finire con il Leopardi maturo, per il quale la natura/storia ci è decisamente ostile. La storia, che è storia di guerre con brevi intervalli di pace, di crisi economiche, di inflazione, di crash di borsa e di default sovrani e privati (che si susseguono con la regolarità dei 49 anni di Levitico 25, 8-13) insegna all’innocente agnello-rentier che il lupo arriverà inesorabilmente a mangiarlo e a portargli via tutto.

Ecco allora che l’agnello capisce che deve difendersi e dunque compra beni reali, mattoni, oro e perfino cripto. Vanno bene anche le azioni, come insegnano tutte le esperienze di iperinflazione, dalla Weimar del 1923 allo Zimbabwe e al Venezuela dei tempi nostri. Naturalmente il leopardiano compra azioni con uno spirito completamente diverso da quello del leibniziano. Non lo fa per condividere le magnifiche sorti e progressive del mondo, ma per difendere in qualche modo il suo potere d’acquisto.

La terza famiglia di stili d’investimento ha un fondo filosofico postmoderno e nichilista. Segue le tendenze di mercato ed è indifferente alle ragioni che ne stanno alla base. I fondi CTA e molti investitori retail cinesi seguono questa impostazione. Con lunghi e lineari rialzi azionari e con brevi ma intensi ribassi i risultati sono spesso stati positivi. La sfida per questo stile sono i periodi di volatilità e congestione, che costringono a prendere continuamente piccole perdite. La prossima fase di inflationary boom e valutazioni alte basate su ipotesi sull’AI che in ogni momento potrebbero essere messe in discussione sarà certamente impegnativa per questo stile (come per tutti).

La quarta grande famiglia è quella del valore, che abbiamo definito opportunista. La scuola del valore distingue tra l’episteme del valore e la doxa del prezzo, ovvero tra il segnale e il rumore. Prosaicamente, ma con molta efficacia, Buffett ci insegna che il prezzo è quello che si paga, mentre il valore è quello che si ottiene. L’opportunista passa la vita a studiare bilanci e dati macro e, quando vede uno scostamento tra prezzo e valore, entra in azione.

Questo stile si basa su tre assunzioni. La prima è che esista la cosa in sé, cioè il valore. La seconda è che il prezzo orbiti intorno al valore e tenda prima o poi a collassarvi. La terza è la presunzione di essere più bravi del mercato nello stabilire il valore.

Si fa ogni tanto un po’ di confusione sul concetto di value. Vi si includono infatti stili che privilegiano settori maturi con bassi multipli e scarsa volatilità e che sono in realtà forme sofisticate di rendita considerata tranquilla. L’opportunista basato sul valore può in realtà agire su tutte le dimensioni, long e short, arbitraggio e titoli di qualsiasi genere.

Durante il lungo rialzo dei 45 anni passati, questi investitori si sono spesso detti frustrati dall’insensibilità del mercato al valore. Alcuni gestori hanno restituito soldi ai loro clienti o hanno chiuso. Gli short sopravvissuti hanno imparato a usare solo put e a venderle immediatamente quando sono in profitto. L’ultimo grido di dolore viene da Michael Burry, il Big Short dei subprime del 2008. Il mondo dell’AI, dice, non calcola correttamente gli ammortamenti sui suoi investimenti. Così facendo, pubblica utili da cui andrebbe tolto quasi un terzo. Il mercato ci mette poi del suo, applicando multipli elevati a utili gonfiati.

Chi non denuncia troppo questi scostamenti di prezzo è proprio Buffett, che viene generalmente definito value ma che adotta in realtà una impostazione ibrida che combina il primo e il quarto degli stili che stiamo analizzando. Buffett è long only e filosoficamente rialzista sull’America, non vende mai (almeno nella sua narrazione) ma compra quasi solo su crash e resta poi in attesa senza lamentarsi delle irrazionalità del mercato. Può farlo perché gestisce un fondo chiuso e perché i suoi clienti/soci sono pazienti come lui.

Abbiamo accennato alla difficoltà di investire nei prossimi mesi in mercati con valutazioni elevate e inflazione vivace (quanto meno in America) ma, dal lato positivo, crescita sostenuta di Pil e produttività, margini alti e tassi in discesa. Nulla vieta di affrontare la prossima fase con una combinazione tra il primo, il secondo e il quarto tra gli stili che abbiamo provato a descrivere.

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