
IL TALLONE DI ACHILLE
I tassi a lungo sono in questo momento al centro dell’attenzione dei mercati. Il loro aumento sempre più veloce, in particolare in America e in Giappone, è il maggiore fattore di rischio per le borse e, in prospettiva, per le economie. Il nervosismo dei mercati è molto diffuso. Proviamo a fare alcune considerazioni su questo tema.
I tassi a lungo sono in questo momento al centro dell’attenzione dei mercati. Il loro aumento sempre più veloce, in particolare in America e in Giappone, è il maggiore fattore di rischio per le borse e, in prospettiva, per le economie. Il nervosismo dei mercati è molto diffuso. Proviamo a fare alcune considerazioni su questo tema.
Prendiamo prima di tutto le misure di questo rialzo. La cosa che si nota subito, se lo contestualizziamo negli ultimi tre anni, è che il rialzo non è abnorme se non in Giappone. In America, partendo dal settembre 2022, il Treasury decennale ha oscillato in una fascia compresa tra il 3.5 e il 5 per cento e si trova ora al 4.60. Le oscillazioni sono state regolari. Quattro-cinque mesi di rialzi seguiti da altrettanti mesi di ribassi, per quattro volte. Michael Kantrowitz ha censito otto narrazioni susseguitesi l’una all’altra tra il 2022 e oggi. Recessione, Higher for Longer (tassi alti che si prolungano), Soft Landing, Higher for Longer, Recessione, Higher for Longer, di nuovo paure di recessione e di nuovo Higher for Longer. L’economia, nel frattempo, ha continuato a crescere in modo robusto e molto regolare, con un rallentamento solo nel primo trimestre di quest’anno che probabilmente verrà rivisto verso l’alto. Anche l’inflazione, pur restando sopra il due per cento, si è mantenuta sostanzialmente costante, assorbendo perfino, stando ai primi dati, gli aumenti dei dazi. Molto nervosismo per nulla, si direbbe.
Sempre in questi tre anni, nei momenti in cui il Treasury decennale è stato sul livello attuale di 4.60, l’SP 500 ha quotato 4600 (settembre 2023), 5350 (maggio 2024), 6100 (gennaio 2025) ed è oggi a 5850. Nel frattempo, come abbiamo visto, l’economia è cresciuta e gli utili sono migliorati. Anche qui, se ci si limita alla fotografia, non c’è niente di drammatico.
Anche il Bund decennale, nello stesso periodo, si è mosso in un range non particolarmente ampio, compreso tra il 2 e il 3 per cento e si trova ora al 2.65. Nel mondo emergente i rendimenti di Cina e India hanno addirittura continuato a scendere. Il Giappone, dove invece hanno continuato a salire, ha perseguito una politica monetaria tutta sua, restrittiva durante il Covid, iperespansiva negli ultimi anni. Ha voluto a tutti i costi l’inflazione, l’ha ottenuta ma ha ottenuto anche un mercato confuso che non capisce più quale sia l’orizzonte a lungo termine.
Insomma, dalla fotografia della situazione non emergono per il momento criticità tali da fare suonare le sirene d’allarme. Solo per il momento, dicono gli odiatori di bond. La foto, spiegano, può anche essere accettabile (per i tempi che corrono) ma il film è preoccupante. Il disavanzo americano, già molto elevato, rischia di crescere ulteriormente. Le proiezioni sul rapporto debito-Pil fanno rizzare i capelli. Il Congressional Budget Office proietta al 210 per cento il debito-Pil americano nel 2050. L’Europa si muove ormai tra un programma espansivo e l’altro e la qualità del suo debito, nel tempo, non potrà che peggiorare. La Cina fa salire di 10-15 punti l’anno il suo debito totale (pubblico e privato) rispetto al Pil, con un rapporto ormai ampiamente superiore al 300 per cento.
Nessuno, se non Milei in Argentina, parla più da anni di tagli di bilancio. Il Doge porterà 170 miliardi di risparmi, ma è stato fermato, in parte dai giudici e in parte dallo stesso Trump a causa della confusione e del malessere che stava creando. Il conflitto geopolitico, dal canto suo, spinge tutti a spendere per il riarmo. Per non parlare del conflitto civile tra forze politiche mainstream e forze alternative che spinge i governi occidentali a evitare a tutti i costi una recessione che farebbe perdere consensi o a intervenire con estrema aggressività, come durante il Covid, in caso di shock esogeno. Tanto il conflitto geopolitico quanto quello civile sembrano destinati a prolungarsi per anni o decenni, con conseguenze immaginabili per quello che resta della virtù fiscale.
Le banche centrali, dal canto loro, non vanno più in soccorso del debito pubblico. Il Quantitative easing non lo sta facendo nessuno, anche perché la fiammata inflazionistica degli anni scorsi cova ancora sotto la cenere. I bond sono lasciati a se stessi, sotto lo sguardo gelido della Fed. Qualcuno chiede seriamente che la Fed segua l’esempio della Bank of England, che fece dimettere Liz Truss e fallire il suo programma espansivo provocando una crisi del mercato obbligazionario.
La lotta politica in America sarà particolarmente intensa nelle prossime settimane. Il Senato riscriverà molti capitoli della legge di bilancio appena approvata dalla camera bassa e non è chiaro se ne ridimensionerà la portata espansiva o se, al contrario, la amplierà accogliendo, come è stato spesso negli ultimi anni, qualche richiesta di spesa da parte dei democratici. Si raggiungerà poi di nuovo il tetto all’indebitamento e assisteremo ancora una volta, probabilmente, alla chiusura di alcuni uffici e servizi federali. Si parlerà di rischio di default per il debito. Tutto già visto mille volte, ma certo non il meglio che possa capitare a un mercato obbligazionario già teso di suo.
Passata l’estate la crisi dei bond potrà ridimensionarsi se l’inflazione da tariffe si sarà dimostrata contenuta e se la crescita dell’economia non avrà subito colpi. L’amministrazione Trump promette, per l’autunno, nuovi tagli di spesa. Più probabile sarà l’allentamento dei limiti all’acquisto di titoli governativi da parte delle banche.
Le variabili in gioco sono molte e includono la geopolitica, con il rischio non trascurabile di un attacco all’Iran. Le valutazioni azionarie, tuttora piuttosto elevate, fanno pensare a una fase di consolidamento più che a una ripresa del rialzo in tempi brevi. Verso fine anno, tuttavia, si comincerà a parlare seriamente di un programma di tagli dei tassi da parte della Fed, i dazi saranno alle spalle e l’amministrazione americana si concentrerà sugli aspetti più graditi ai mercati, come la deregulation.
Nel frattempo molta attenzione continuerà a essere rivolta ai mercati emergenti. Hanno valutazioni interessanti, sono sottopesati nei portafogli e traggono beneficio dal dollaro più debole.