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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

QUESTA VOLTA È DIVERSO

Intelligenza artificiale, analogie e differenze con le bolle del passato

Il decennio 1840-1850 iniziò in Inghilterra con un entusiasmo crescente per il nuovo business delle ferrovie e finì con il fallimento di gran parte delle compagnie del settore. In un clima di laissez-faire il parlamento autorizzò chiunque si proponesse di costruire una nuova linea, anche perché il permesso costava caro e le casse del tesoro di Sua Maestà traevano grande beneficio dalle centinaia di richieste che venivano presentate ogni anno. In totale, i permessi rilasciati nella prima parte del decennio autorizzarono costruzioni per un valore pari al Pil.

Il decennio 1840-1850 iniziò in Inghilterra con un entusiasmo crescente per il nuovo business delle ferrovie e finì con il fallimento di gran parte delle compagnie del settore. In un clima di laissez-faire il parlamento autorizzò chiunque si proponesse di costruire una nuova linea, anche perché il permesso costava caro e le casse del tesoro di Sua Maestà traevano grande beneficio dalle centinaia di richieste che venivano presentate ogni anno. In totale, i permessi rilasciati nella prima parte del decennio autorizzarono costruzioni per un valore pari al Pil.

Se ancora oggi il visitatore anche distratto non può fare a meno di notare il notevole disordine dei percorsi dei treni inglesi e il fatto che in città anche piccole ci siano molte stazioni non collegate fra loro è perché 180 anni fa una tratta poteva essere servita da più linee, ognuna gestita da una compagnia diversa che aveva stazioni e binari propri su percorsi diversi e con scartamento dei binari non compatibile con quello delle altre linee.

La bolla borsistica culminò nel 1846. Al suo scoppio, molte famiglie della classe media persero tutto. Dalla fine del decennio fino al 1960 l’Inghilterra si dedicò allo smantellamento dell’esorbitante numero di linee in eccesso costruite in quei cinque anni. Delle centinaia di società ferroviarie ne rimasero alla fine solo quattro, che finirono poi nazionalizzate nel 1948. Privatizzate di nuovo negli anni Ottanta e Novanta, sono oggi in via di rinazionalizzazione.

La bolla delle ferrovie, che seguiva di 40 anni quella dei canali navigabili, fu replicata in giro per il mondo per tutta la seconda metà dell’Ottocento, prima negli Stati Uniti e poi in Sud America. Sempre, più o meno, con gli stessi risultati.

Oggi tocca all’Intelligenza Artificiale. Ci sono però tre differenze importanti con le bolle classiche.

Partiamo dalle dimensioni. Anche prendendo alla lettera gli annunci delle società e gli amministratori delegati e i capi di governo stranieri che sfilano alla Casa Bianca promettendo investimenti per cifre rotonde in AI americana (salvo poi dire qualche volta in privato che hanno gonfiato o inventato le cifre per fare piacere a Trump) arriviamo probabilmente vicino ai 3 trilioni. Il Pil americano è di 30 trilioni. Siamo quindi a un decimo, per adesso, delle folli dimensioni della bolla ferroviaria inglese.

Una seconda differenza la vediamo nei protagonisti, atomizzati in centinaia di compagnie allora e concentrati in pochi oligopoli oggi. E anche nell’atteggiamento del governo, allora di totale laissez-faire e oggi molto coinvolto nella pianificazione dello sviluppo del settore.

La differenza più importante sta tuttavia nelle potenzialità di durata e di sviluppo del settore e delle sue ricadute sul resto dell’economia. Intendiamoci, il tema delle ricadute è sempre stato presente anche nelle bolle del passato. Canali, ferrovie, telegrafo, radio e internet hanno sempre fatto pensare a una possibile esplosione di produttività. Che però non c’è mai stata, perché se c’è una cosa che aumenta con passo lento, noioso e costante è proprio la produttività, che da molti anni se ne resta nella parte bassa del suo range secolare (compreso tra l’1 e il 3 per cento all’anno) e per ora non dà segni di risveglio.

Le potenzialità diverse dell’AI rispetto alle innovazioni del passato sono piuttosto da cercare in quella che von Neumann, già nel 1958, definì la singolarità tecnologica, ovvero la capacità della tecnologia di prendere vita autonoma e iniziare a programmare sé stessa. In pratica, una linea ferroviaria in più, quando ce ne sono già abbastanza, offre più costi che benefici marginali. E i treni non programmano da soli nuovi treni più avanzati. A un certo punto, quindi, la bolla dei treni si sgonfia per forza.

Sull’AI, per contro, si può sognare il salto dalla quantità alla qualità, il salto ontologico dalla raccolta senza fine di dati all’intelligenza e alla volontà e, da lì in avanti, una progressione accelerata cui è difficile mettere ex ante dei limiti.

Ci sono naturalmente dibattiti molto animati sulla possibilità teorica e pratica di questo salto, ma quello che conta agli effetti pratici è che governi, imprese e mercati intendono esplorare seriamente queste potenzialità, il che ci terrà occupati per molti anni a venire.

Dobbiamo però evitare di pensare a un processo lineare. Un rallentamento dei progressi porterà prima o poi a delusioni in borsa e a una discesa dei corsi. Anche se questi rallentamenti saranno temporanei, le società che avranno investito troppo cadranno in disgrazia e verranno acquisite o nazionalizzate. Qualche altra moda, magari la robotica, prenderà il posto dell’AI, così come l’AI ha mandato sullo sfondo, almeno per qualche tempo, le biotecnologie o il litio o le auto a guida autonoma.

Nel frattempo, i mercati affiancano ai sogni sull’AI quelli sui tagli dei tassi da parte della Fed. La certezza di una volontà politica di abbassare i tassi indipendentemente dall’inflazione offre un supporto molto forte alle borse. Sarà infatti soltanto quando l’inflazione sarà eventualmente ritornata impopolare che le banche centrali si vedranno costrette ad alzare i tassi e a sgonfiare le borse.

Per il momento l’inflazione è contenuta. Il petrolio è mantenuto basso da Trump e dalle sue pressioni sui paesi produttori, mentre il costo del lavoro si mantiene tranquillo. Sui dazi rimane il mistero su chi li stia pagando, ma sta di fatto che il loro effetto sui prezzi finali, come mostra il CPI di oggi, si mantiene limitato.

Tutto bene, dunque, almeno per ora. Per prudenza, tuttavia, sarà meglio continuare a diversificare almeno in parte verso mercati meno cari di quello americano. La Cina, e in particolare la sua tecnologia, è un’alternativa interessante. Il Brasile, tra gli emergenti, sembra promettente in un orizzonte a due anni. L’Europa, dal canto suo, uscirà dal suo torpore e accelererà per il doppio effetto delle politiche fiscali espansive e delle potenzialità di aumento degli impieghi da parte delle banche ormai risanate.

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