
CRIPTO E DINTORNI
Le criptovalute sono un mondo complesso. Sono da un lato una tecnologia che permette transazioni più veloci e sicure. Dall’altro lato sono una visione del mondo, alle origini libertaria e vagamente survivalista (l’ultima spiaggia contro il debasement).
Le criptovalute sono un mondo complesso. Sono da un lato una tecnologia che permette transazioni più veloci e sicure. Dall’altro lato sono una visione del mondo, alle origini libertaria e vagamente survivalista (l’ultima spiaggia contro il debasement).
I governi, anche quelli che adorano regolamentare tutto, hanno avuto per molti anni la mano leggera nel regolare le cripto, considerate un esperimento sociale potenzialmente interessante per vari aspetti, tanto tecnologici quanto monetari. L’esistenza di questa zona franca ha reso possibili ampi guadagni, spesso potenziati da un uso aggressivo della leva, ma ha anche reso molto difficile difendere gli investitori da truffe o da intermediari spericolati.
Negli ultimi due anni abbiamo però assistito all’ingresso di grandi istituzioni finanziarie nel mondo cripto e al crescente interesse del Tesoro americano per un loro utilizzo. Accanto alle cripto tradizionali, come il Bitcoin, sono cresciute velocemente le stablecoin, token digitali agganciati al dollaro e garantiti da Treasuries.
Bitcoin e stablecoin sono accomunati dalla tecnologia e dall’ecosistema (chi fa trading sul Bitcoin parcheggia generalmente la liquidità in stablecoin e non in fiat) ma sono due prodotti completamente diversi nello spirito.
Nonostante questa diversità, nelle ultime settimane sono stati entrambi oggetto di vendite (Bitcoin) o di critiche al modello di business da parte di agenzie di rating (stablecoin). Si è così creata molta confusione. L’impatto sulle stablecoin non è stato visibile (gli emittenti hanno una buona base di mezzi propri e un forte sostegno da parte del Tesoro americano), ma il Bitcoin ha ritracciato del 31 per cento dai massimi di giugno ed è oggi invariato dall’inizio dell’anno.
I sostenitori dei Bitcoin fanno notare che lo strumento è sempre stato molto volatile, che si è sempre ripreso bene dalle scivolate e che dall’inizio del 2019, pur considerando la battuta d’arresto attuale, è comunque aumentato di 23 volte, lasciando nella polvere tutto il resto, inclusi i Magnifici Sette e l’oro. Questo è vero, ma non toglie che i giovani adulti, che in America possiedono più spesso cripto che azioni (il 55 per cento contro il 45), siano da qualche mese sulla difensiva. Lo sono anche nel mercato del lavoro, che in questo momento è in generale stabile o stagnante, ma è decisamente debole nella fascia dei neolaureati, più colpiti anche dalla graduale introduzione dell’intelligenza artificiale nei lavori che richiedono meno esperienza.
Sul perché i Boomers rimangano affezionati ad azioni, bond e case, mentre i Millennials (i nati tra il 1981 e il 1996) e la successiva Generazione Z scelgono cripto, prodotti a leva e opzioni che scadono in giornata sono formulabili varie teorie. Una è che ogni generazione rimane affezionata alla classe di asset che l’ha fatta guadagnare e continua a rifiutare quello da cui è rimasta scottata (la Silent Generation, i nati tra il 1928 e il 1945, è sempre rimasta diffidente verso l’azionario). Un’altra teoria sottolinea la maggiore dimestichezza dei giovani adulti verso il mondo digitale e l’innovazione.
Una terza teoria è però più inquietante. Cripto e Yolo (You only live once, si vive una volta sola, tanto vale buttarsi e rischiare) sarebbero espressione dello stesso nichilismo finanziario di chi crede di avere capito che il risparmio e l’investimento prudente e razionale non porteranno mai ad avere abbastanza soldi per comprare una casa (anche con il mutuo) e che è quindi meglio spendere subito finché si è giovani e usare quel poco che rimane per provare a moltiplicarlo velocemente facendo scorrere l’adrenalina.
Questo si collega all’incepparsi dell’ascensore sociale e alla crisi del sogno americano. Michael Green, portfolio manager e strategist, ha toccato un nervo sensibile e creato in questi giorni un putiferio arrivato molto in alto argomentando in un articolo che la nuova povertà non è quella dei 40mila dollari ufficiali ma si innalza fino ai 140mila dollari di reddito. Sotto quel livello, dice, una famiglia con due figli e una normale abitazione in una qualsiasi contea suburbana del New Jersey non riesce a risparmiare un dollaro se vuole mandare i figli a una scuola decente, comprare una polizza sanitaria che serva a qualcosa, pagare spese correnti e tasse statali (non federali) sulla casa sempre più alte. Certo, la casa comprata col mutuo nel frattempo si è apprezzata e ora vale un milione, ma se la si vende dove si va a dormire? Sotto i ponti o nella casa di fronte, che nel frattempo si è apprezzata anche lei e costa lo stesso milione che si è appena incassato?
Chi continua a risparmiare sono dunque i Boomers. La teoria del ciclo vitale di Modigliani, pubblicata nel 1954, teorizzava la razionalità del risparmio per i giovani adulti e della spesa per la terza età sulla base del principio che si tende a rendere stabile, nel corso della vita, il livello dei consumi. Oggi sembra accadere il contrario.
Questo non ha ricadute immediate sui mercati finanziari, ma crea un malessere sociale che può spiegare, come ha detto Peter Thiel, il voto a Mamdani e la disponibilità di una parte dell’elettorato a sperimentare nuove strade.
Questo infragilimento del tessuto sociale, come osserva Harris Kupperman, un gestore value, porta poi i governi alle scorciatoie della fiscal dominance e dell’asset inflation. Borse sempre più alte sono come la neve che ricopre le debolezze del sistema e lo fanno apparire migliore di quello che è.
Queste considerazioni possono essere utili per storicizzare e relativizzare l’inflationary boom e il rialzo azionario che stiamo vivendo, non a negarne la portata. Anche Buffett, che ha la pazienza di aspettare anni per approfittare dei crash di mercato, mantiene in equity la maggior parte degli asset.
Se la Fed, come è ben possibile, avrà l’accortezza di distribuire i suoi tagli lungo tutto il 2026 e di non spenderli tutti subito, le borse continueranno a leggere in positivo sia i dati buoni (in quanto buoni) sia quelli moderatamente negativi (che renderanno più certi i tagli). A fine 2026 i tagli saranno terminati, il Congresso avrà probabilmente cambiato segno politico e l’inflazione sarà ancora vivace. Sarà quello, probabilmente, il momento di ritornare alla lavagna e riconsiderare la strategia.
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Alessandro Fugnoli
Strategist
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.