Il segnale che arriva dall’economia reale continua a essere distorto e confuso. Lo sarà anche nei prossimi mesi. Anche il segnale che arriva dai policy maker può apparire contraddittorio e di difficile decifrazione. Comprensibilmente, i mercati si muovono in modo erratico.
Il segnale che arriva dall’economia reale continua a essere distorto e confuso. Lo sarà anche nei prossimi mesi. Anche il segnale che arriva dai policy maker può apparire contraddittorio e di difficile decifrazione. Comprensibilmente, i mercati si muovono in modo erratico.
Cominciando dall’economia, molto dipende dal momento in cui sono stati raccolti i dati che vengono pubblicati giorno dopo giorno. Questi dati non sono in sequenza temporale. Succede non di rado che un dato riferito a un momento più recente esca prima, non dopo un dato riferito a un momento successivo. In tempi normali questo non crea problemi, ma in periodi di continui colpi di scena crea problemi, soprattutto negli indicatori soft, quelli di sentiment.
Poi c’è la difficile lettura dei dati. Se un dato esce forte è perché le imprese e i consumatori cercano di accaparrarsi materie prime e prodotti prima dell’entrata in vigore dei dazi o perché l’economia è solida e in buona salute e quindi in grado di sopportare le conseguenze (una tantum) dei dazi stessi?
E quando esce sia debole sia stabile, come nel caso del Pil americano del primo trimestre pubblicato oggi, che cosa va guardato? Il dato complessivo, negativo, o quello relativo alla domanda finale interna, che non si discosta dalla buona crescita dei trimestri precedenti? E sull’inflazione va guardato il deflatore al 3.7 (alto) o il costo del lavoro, perfettamente in linea con i trimestri precedenti?
Si noti poi che i dati pubblicati finora si riferiscono ancora al periodo che precede il Liberation Day, ovvero all’inizio di una fase che si profila ancora più turbolenta.
Volendo tentare di dare un senso a quello che accade, possiamo dire che l’arrivo imminente dei dazi ha certamente aumentato l’incertezza e l’ansia, come è ben riflesso dagli indicatori di sentiment, ma non ha indotto nessuno a spendere meno, né le imprese né i consumatori, come è riflesso dai dati oggettivi. Certo, si è speso diversamente. Gli acquisti sono stati dirottati su beni da mettere in magazzino, per le imprese, o nella cantina di casa, per le famiglie. La corsa a costituire scorte, a sua volta, è stata dettata non solo dall’aspettativa di prezzi più alti dopo i dazi, ma anche dal timore di non trovare più disponibili, nei prossimi mesi, i beni importati.
Quello in corso, per l’America, è uno shock da offerta. Ci sono però importanti differenze rispetto all’altro shock da offerta, quello del Covid, con cui questo viene spesso paragonato. La prima è che del Covid nessuno sapeva prevedere la durata, mentre questa volta, con l’importante eccezione dei prodotti cinesi, possiamo ragionevolmente prevedere che si tronerà alla normalità in tempi contenuti. La seconda differenza rispetto al Covid è che questa volta non c’è il fortissimo supporto monetario e fiscale alla domanda che ci fu allora. La conseguenza è che, rispetto ad allora, ci sarà molta meno inflazione ma anche meno crescita.
Che l’economia abbia continuato a crescere in questi mesi non solo in Cina e in Europa, ma anche in America, è segnalato indirettamente anche dall’andamento degli utili delle società riferiti al primo trimestre, che sono in corso di pubblicazione. Questi utili, pur senza essere spettacolari, sono stati comunque buoni. Non lo sarebbero stati se ci fosse stata davvero quella recessione cui allude il segno negativo del Pil pubblicato oggi.
Ad attenuare le ansie dei mercati c’è poi anche un altro fattore, ovvero la funzione di reazione dei policy maker rispetto ai momenti negativi dei mercati, Fino a tempi recenti, ricordiamo, l’amministrazione Trump aveva ostentato indifferenza rispetto alla discesa della borsa e del dollaro, mostrandosi sensibile solo al corso dei bond lunghi. Le cose sono cambiate. Sul dollaro, pur confermando tra le righe di volerlo rafforzare nei fondamentali ma indebolire nel tempo nei rapporti di cambio con le altre valute, si è visto per lo meno un impegno a ritrovare una certa stabilità. È però sull’azionario che il nuovo atteggiamento, attentissimo all’andamento dei corsi e pronto a sostenerli in caso di caduta, è particolarmente evidente. Questo significa che un’eventuale nuova fase di debolezza della borsa nelle prossime settimane metterà una forte pressione sulle trattative commerciali in corso e indurrà l’America a maggiori concessioni pur di potere concludere qualche negoziato e dare qualche buona notizia ai mercati.
Resta però algido l’atteggiamento della Fed. Il mercato ha dato molto peso alle dichiarazioni di Waller, che ha aperto a tagli dei tassi in tempi brevi in caso di indebolimento del mercato del lavoro. Quella di Waller è però la posizione di un candidato alla successione di Powell che vuole ingraziarsi Trump e togliere spazio a Kevin Warsh, attualmente favorito. Il resto del Fomc, per il momento, tace.
La grande incognita che impedisce di sciogliere la prognosi sull’economia e sui mercati è ovviamente la trattativa con la Cina. È stato giustamente osservato che tanto Trump quanto Xi sottovalutano la determinazione e la capacità di resistenza dell’avversario. Aggiungiamo che sopravvalutano la capacità di resistenza delle loro economie in caso di embargo reciproco. Non c’è dubbio che sulla carta il negoziato appaia molto complicato e difficile, anche perché agli interessi si aggiungono ragioni di prestigio. È però anche vero che le due parti, in qualsiasi momento, potrebbero decidere di applicare una moratoria alle misure restrittive adottate fin qui nel caso ci sia un minimo di spazio per l’avvio di negoziati ufficiali.
In sintesi, la situazione rimane molto fluida. Per il momento non ci sono elementi né per adottare una posizione strategicamente costruttiva né per essere per forza pessimisti. Il tempo che passa lavora per una soluzione positiva nell’ipotesi che l’amministrazione Trump non voglia giocarsi tutto sui dazi e voglia passare a punti del suo programma più graditi al suo elettorato (deregulation e tagli delle tasse) in vista delle elezioni dell’anno prossimo. Alcuni danni prodotti dalla vicenda dei dazi potrebbero però rivelarsi duraturi e tradursi in un marcato rallentamento della crescita.
Operativamente, rimaniamo dell’avviso che le borse europee siano in questa fase favorite rispetto a quelle asiatiche e all’America. Anche l’euro dovrebbe mantenere i progressi conseguiti fin qui e continuare lentamente a rafforzarsi. Sui bond europei grava nel medio-lungo termine l’incognita dell’aumento dell’indebitamento, ma nel breve la pressione deflazionistica che i dazi impongono sull’Europa li favorirà. Sui bond in dollari la possibilità che la curva dei rendimenti diventi ancora più ripida induce a continuare a preferire le scadenze fino a due anni. Oro in fase di consolidamento, ma la Cina continua a comprare.