Eisoptrofobia (paura di guardarsi allo specchio)

20 Aprile 2020
Pensieri in liberta

La pandemia ha costretto il mondo sviluppato a fermarsi in un lockdown capace di superare l’immaginazione dei più originali film di fantascienza: anche i mercati, dopo una lunghissima corsa, si sono trovati a fronteggiare nell’ultimo mese una frenata tanto brusca quanto inaspettata, foriera di una serie di poco invidiabili record legati alla volatilità e all’intensità del sell off di marzo.

È come se quello finanziario, uno dei segmenti tecnologicamente più avanzati e sofisticati del mondo globale, fosse stato costretto a fermarsi e guardarsi in qualche modo allo specchio, scoprendosi straordinariamente fragile: in quell’immagine riflessa oggi possiamo vedere i volti preoccupati di broker in felpa e con barba e capelli lunghi, le stesse persone – inclusi noi – che fino a qualche settimana fa non sarebbero mai scese neppure a comprare il giornale di domenica mattina senza giacca. Oggi nessuno di noi si preoccupa più di tanto di farsi vedere nelle varie video call in maniche di camicia nella privacy della propria casa, magari con il sottofondo di bimbi urlanti, come se qualche settimana avesse cancellato anni di ipocrisia, con la forma che aveva rubato abbondantemente il posto alla sostanza: ecco, forse, se qualcosa di buono resterà di questa drammatica esperienza, sarà l’aver rotto probabilmente per sempre alcuni schemi e dinamiche che difficilmente resisteranno a questo terremoto. Osservando bene quei volti con la barba incolta e scavati dalla tensione, si possono rintracciare tanti parallelismi tra il mercato e quanto sta accadendo sul fronte sanitario.

Una prima macroscopica analogia tra il virus e i mercati è la breccia creata nel fortino delle nostre certezze: era opinione diffusa che i mercati avessero raggiunto valutazioni esasperate, prigionieri di una sorta di bolla e artificialmente sostenuti su livelli che naturalmente sarebbero stati insostenibili.

Era altrettanto palese e drammaticamente evidente che stessimo abusando e violentando ormai da decenni i delicati equilibri naturali su cui poggia il nostro pianeta. Eppure si è continuato ad andare avanti, spingendo sempre più il piede sull’acceleratore, salvo poi esser stati colpiti violentemente e colti completamente alla sprovvista da un virus che si è fatto strada incuneandosi in maniera subdola, ma anche molto aggressiva, tra le nostre certezze e, forse, in quello che con il senno del poi possiamo definire il nostro “delirio di onnipotenza”. La sensazione di aver cancellato le distanze fisiche di una globalizzazione totale e permeante è andata di pari passo con la sensazione di un mercato in continua e perenne ascesa, in un bull market autoreferenziale che si autoalimentava, ormai totalmente slegato dai valori fondamentali. Rifuggendo da ogni tentazione irrazionale e intellettualmente pericolosa di individuare, nella tragedia di cui siamo testimoni, una sorta di “diluvio universale” punitivo, è però fondamentale analizzarne con obiettività le cause e gli errori su cui la pandemia è andata ad innestarsi.

In una sorta di maledetta legge del contrappasso, il virus ha trovato un alleato formidabile proprio nella globalizzazione, volando via, attraversando confini geografici e contestualmente facendosi beffe delle recenti pulsioni sovraniste, cancellando confini e distanze: anche il mercato ha la stessa caratteristica transnazionale esasperata nell’ultimo decennio dalla tecnologia e dall’accesso istantaneo all’informazione. L’entropia è uno stato naturale del nostro universo, ma lo sviluppo tecnologico ha esasperato il celebre “butterfly effect”, quel battito d’ali di una farfalla in grado di cambiare il corso degli eventi dall’altra parte del mondo: la famosa immagine della farfalla evoca qualcosa di quasi poetico. In questo caso invece sembra non essersi trattato di una farfalla, ma piuttosto di qualche altro animale meno grazioso ed elegante,probabilmente un pipistrello: abitudini alimentari arcaiche, anziché rimaner confinate in qualche sperduta zona rurale, sono state invece proiettate,  in una incredibile quanto pericolosa commistione su scala globale da due decenni di urbanizzazione a tappe forzate.

Tra le tante contraddizioni di questa crisi ci stiamo rendendo conto di come anche nel mondo dell’informazione globale, sul Covid 19 si è tornati indietro di 50 anni, affidandosi ad un passaparola piuttosto vago e spesso confuso alla luce di informazioni lacunose, imprecise e a volte semplicemente sbagliate o completamente mancanti. Mercato e Virus: una storia di errori e abbagli clamorosi che hanno dell’incredibile, se contestualizzati nel decennio del terzo millennio, in cui l’uomo tenta di replicare l’intelligenza in maniera artificiale e che da quella stessa intelligenza robotica pensa di far guidare le scelte di investimento.

Sull’aspetto sanitario appare quasi ingeneroso oggi elencare la lunga serie di errori in cui sono incappati tutti i protagonisti, a cominciare dalle Istituzioni preposte alla tutela della salute pubblica, passando alla tentazione di minimizzare il problema che ha contagiato molti protagonisti, dalla Cina al Brasile, al Regno Unito, sino all’America. Ma i mercati non sono stati immuni da questo abbaglio collettivo, anzi, con un’area intera della Cina isolata e flagellata dal virus, hanno continuato a salire per oltre un mese, finché non è apparso chiaro che il virus avesse trovato il modo di irrompere anche in Occidente con tutto il suo potere distruttivo. La sottostima della portata del problema accomuna quindi sia il mercato, sia la politica e le Istituzioni del mondo sviluppato. Anche le risposte date fin qui al problema appaiono viziate da una almeno iniziale mancanza di coordinamento: ogni area geografica ha dato risposte diverse, così come nelle diverse geografie sono stati seguiti protocolli sanitari e farmacologici diversi. Auspicabilmente sul fronte sanitario si ha la speranza che il linguaggio della scienza torni ad esser universale dopo una primissima fase di confusione; meno probabile invece che le risposte politiche, fiscali e monetarie riescano ad essere omogenee e anzi, divergenze macroscopiche sono destinate ad emergere e divenire elementi centrali nel determinare i differenziali di performance tra le aree geografiche e i diversi segmenti del mercato.

Del resto ad oggi un vaccino non c’è, né per il virus, né tantomeno per evitare la recessione globale che appare ormai alle porte.

Su entrambi i fronti si sta lavorando al contenimento del danno ed è un’analogia bizzarra che sia dal punto di vista sanitario che sul mercato il protocollo di intervento passi dall’ossigeno: ossigeno per i polmoni per compensare deficit respiratori e ossigeno in termini di liquidità iniettata nel sistema finanziario per evitare l’implosione del tessuto economico per asfissia, o più tecnicamente da credit crunch.

Ancora bizzarro che, sia in ambito sanitario che in ambito economico, per fronteggiare l’emergenza si stia facendo ricorso a strumenti di un recente ma a tratti lontanissimo passato: gli antivirali e antimalarici, che si stanno dimostrando piuttosto efficaci quantomeno nel contenimento del virus, sono farmaci quasi sempre piuttosto datati, che erano stati riposti nei cassetti della farmacia negli ospedali; anche a livello economico si torna a parlare di monetizzazione e /o nazionalizzazioni su ampia scala, strumenti che evocano ricordi di un passato che sembrava superato.

Ancora: sia sul mercato che sul virus ci siamo abituati a guardare ai grafici, alle curve. La Fase 1 è stata violentissima su entrambi i fronti – crescita esponenziale per i contagi e crollo verticale per le quotazioni – con uno sfasamento temporale quasi trascurabile tra virus e mercati: da un paio di settimane stiamo assistendo ad una fase di stabilizzazione dei contagi e di contestuale normalizzazione degli scambi con il mercato che sta cercando di costruire una base da cui ripartire; stessa speranza che ci accomuna quando, osservando i dati epidemiologici, siamo uniti in un tifo quasi calcistico volto al raggiungimento e al superamento della fase di picco.

Ad avvicinare ancora virus e mercati è anche la paura di rivedere nuovi minimi e ad assistere ad una ricaduta sanitaria (la temuta seconda ondata) nei prossimi mesi.

L’evoluzione degli ultimi quindici giorni giustificano un cauto ottimismo sia sulla pandemia, sia sulla tenuta del sistema finanziario, dove innegabilmente l’intervento delle Banche Centrali ha costituito il punto di svolta.

Dopo il terremoto e la successiva stabilizzazione, ora sia sui mercati che sulla pandemia stiamo entrando nella cosiddetta Fase 2: come la tragedia in corso ci ha drammaticamente insegnato, non è possibile prevedere il futuro, ma di certo si può fare tesoro dei (tanti) errori commessi ed evitare di ripeterli per costruire un futuro, un’economia e quindi un mercato più sostenibile.

Quanto più infatti i mercati si allontanano dall’economia, quanto più distante si fa la finanza dall’impresa, tanto più si svuota una relazione che altrimenti sarebbe virtuosa per natura.
Il Covid 19 ci ha imposto distanze e muri invisibili: la speranza è che almeno sul fronte mercati questa possa rappresentare un’occasione preziosa per colmare quella distanza che si è creata negli anni.
Nella recessione del 2008/09, la finanza ha rappresentato l’epicentro della crisi: forte di quella drammatica esperienza, il sistema finanziario e le banche sono oggi molto più solidi di quanto non fossero 10 anni fa e possono rappresentare un prezioso supporto su cui cominciare a ricostruire.

IL NUOVO
MAGAZINE DIGITALE DI KAIROS
E’ ONLINE