FTSE Mib e la Fase-2

16 Aprile 2020
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Negli ultimi due mesi il mercato ha reagito al danno inferto al PIL globale dal lockdown quasi completo dell’attività economica causato dal Covid-19. In meno di un mese, la caduta dei principali listini azionari mondiali dai massimi di febbraio ai minimi di marzo (Nasdaq -40%, S&P -35%, STOXX 600 Europe -38%, FTSE Mib -45%) ha decretato la fine (almeno sulla carta) del più lungo bull-market della storia. Le vendite hanno coinvolto tutti i temi e tutti i settori come succede in quei momenti di panic-selling in cui l’unica asset class su cui gli investitori vogliono essere posizionati è la liquidità. Successivamente, sulla scia degli imponenti interventi sia di politica monetaria da parte delle Banche Centrali, sia di politica fiscale da parte dei governi, soprattutto negli Stati Uniti, i mercati sono rimbalzati premiando società e settori meno impattati dal lockdown e lasciando un po’ più indietro industrie come Retail, Travel & Leisure, Auto, Oil e la maggior parte dei nomi Industrials. Questa prova di forza dei mercati finanziari dimostra come gli investitori, dopo un primo momento di paura, siano ora disposti a considerare queste lunghe settimane di stop produttivo (la cosiddetta Fase-1) come un evento negativo one-off e quindi non così significante ai fini della valutazione delle aziende. Quello che però determinerà l’andamento dei mercati nei prossimi mesi e probabilmente fino al 2021 inoltrato, sarà la durata e la natura della Fase-2. I differenti scenari che potrebbero avverarsi variano da un graduale, ma rapido ritorno alla normalità già nei prossimi sei mesi, a una ricaduta di casi il prossimo inverno con conseguente secondo lockdown. Senza contare poi il possibile trascinarsi di alcune delle nuove abitudini acquisite durante la quarantena e del ridimensionamento della propensione alla spesa di buona parte della popolazione per un periodo di tempo indeterminato, anche dopo che la pandemia sarà stata sconfitta. Considerata quindi la bassissima visibilità sull’andamento dell’economia da qui al 2021, bisogna puntare su quei settori che hanno davanti a loro un ciclo sicuro di investimenti: (i) Information Technology e (ii) Spesa Pubblica.

Dai colloqui con il management di molte società grandi e piccole quotate sul mercato italiano risulta evidente che, passato il momento di crisi, si sta formando un’ondata di investimenti sul settore IT volta alla digitalizzazione dei processi interni, dei canali di vendita e dei metodi di acquisizione clienti. La chiusura prolungata di uffici e punti vendita ha messo a nudo il gap che si è creato negli ultimi anni in Italia rispetto a paesi come Francia, Germania e Regno Unito per quanto riguarda il digitale. Con l’eccezione di alcune realtà, la maggior parte delle aziende italiane non ha investito quanto avrebbe dovuto per trasformare il proprio modello di business e ora si trova a dover recuperare in fretta. In altre parole il Covid-19 non ha fatto altro che premere l’acceleratore su quello che era già uno dei trend strutturali più centrali degli ultimi due decenni: ovvero l’evolversi da fisico a online delle figure di consumatore e lavoratore. I beneficiari di questo ciclo di investimenti sono quelle società che supportano i propri clienti e i propri partner nel disegnare e attuare il percorso di digitalizzazione. Gli “enablers” (per usare un termine anglofono molto di moda) della rivoluzione digitale in Italia si contano sulle dita di una mano; siamo investiti in quelli che a nostro parere sono i migliori. Un tema parallelo a questo, in quanto ne è la necessaria conseguenza, è quello delle infrastrutture telecom e cloud. Con un aumentare esponenziale dell’utilizzo della rete dati per favorire lo smart working, è inevitabile che aumentino i bisogni delle aziende di dotarsi di connessioni veloci e affidabili e di data-center potenti e sicuri. Questo favorirà quei player che posseggono le infrastrutture di ultima generazione necessarie per soddisfare le nuove e più esigenti richieste dei propri clienti. In questa chiave gli investimenti già preventivati sulla costruzione di una rete 5G non possono che acquisire un’importanza e una premura ancora maggiore.

Il secondo settore, che è ragionevole aspettarsi essere al centro di un nuovo piano di investimenti, è quello della spesa pubblica soprattutto legata a grandi opere infrastrutturali, la più classica delle leve del modello keynesiano per sostenere la domanda (e il PIL). Numerose voci più o meno autorevoli all’interno del governo hanno già proposto di velocizzare e ampliare gli investimenti previsti dallo Stato per la realizzazione di opere pubbliche. Il vice-ministro Cancelleri cita una proposta già consegnata al primo ministro Conte per “velocizzare i lavori per opere che sono già interamente finanziate e inserite nei contratti di programma dell’Anas e della Rete ferroviaria, per un valore complessivo di 109 miliardi”. Ciò che rimane da chiarire sono le tempistiche con cui queste misure verranno messe in pratica vista l’urgenza della situazione, ma anche la proverbiale lentezza delle procedure burocratiche necessarie. Intanto le società del settore delle costruzioni di infrastrutture pubbliche si preparano per farsi trovare pronte quando la pioggia di investimenti arriverà.

Molto meno visibili restano i settori legati alla domanda privata. In un contesto di incertezza riguardo alla tenuta dei posti di lavoro, all’impossibilità di tornare subito alla cara vecchia normalità, la domanda di beni privati temiamo possa essere sensibilmente inferiore al previsto. Nel settore finanziario preferiamo restare investiti nel risparmio gestito e nei sistemi di pagamento, ritenendo che il sistema bancario possa soffrire nell’attività tradizionale a seguito del rallentamento ciclico. Relativamente alle utilities, la nostra preferenza va a quelle società con regolamentazione a RAB (Regulatory Asset Base) soprattutto se attive in settori dove la domanda pubblica sottostante era già da prima destinata a crescere (ad es. la rete di distribuzione elettrica). E’ il momento di scelte attive e forti, con l’attenzione metodica all’andamento delle singole società, il riscontro si avrà con le prossime trimestrali.

Intervista a Massimo Trabattoni, Head of Italian Equity.

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