rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

ALTERNATIVE

Oro d’oriente, bitcoin d’occidente

La Cina inventò la moneta cartacea nel VII secolo. Si trattava di certificati supportati da rame o ferro monetato. Fu però la dinastia mongola che si impadronì del paese con Kublai Kahn (quello di Marco Polo) a intuire le potenzialità di spesa pubblica che una moneta cartacea creava e a istituire la prima fiat currency non supportata da nulla. Come da manuale, per evitare la concorrenza di oro e argento, questi furono dichiarati illegali. Chi li possedeva doveva quindi consegnarli alle casse imperiali. Come da manuale, un’ondata inflazionistica si diffuse nel paese.

La Cina inventò la moneta cartacea nel VII secolo. Si trattava di certificati supportati da rame o ferro monetato. Fu però la dinastia mongola che si impadronì del paese con Kublai Kahn (quello di Marco Polo) a intuire le potenzialità di spesa pubblica che una moneta cartacea creava e a istituire la prima fiat currency non supportata da nulla. Come da manuale, per evitare la concorrenza di oro e argento, questi furono dichiarati illegali. Chi li possedeva doveva quindi consegnarli alle casse imperiali. Come da manuale, un’ondata inflazionistica si diffuse nel paese.

Anche la successiva dinastia Ming tentò di mantenere il regime di fiat currency, ma l’eccesso di inflazione la obbligò in varie fasi a fare convivere la circolazione delle banconote con quella dell’argento e del primo oro che arrivava dalle Americhe attraverso le Filippine spagnole. Come da manuale, il Tesoro imperiale pagava i fornitori in carta ma esigeva che le imposte fossero pagate in argento.

Con la dinastia Qing si tornò all’ortodossia. I quattro secoli di sperimentazioni monetarie avevano insegnato alla popolazione a fidarsi solo dei metalli. La prima metà del Novecento vide però il susseguirsi di guerre civili e di guerre antigiapponesi con conseguenti frequenti ondate di inflazione.

Con la formazione di una nuova ricchezza privata dopo le riforme degli anni Ottanta, i cinesi con una elevata propensione al rischio hanno sperimentato la borsa, lo shadow banking e, più tardi, le criptovalute (poi rese illegali). Molti sono stati scottati. Chi ha potuto si è allora comprato una casa a Vancouver o in California. Gli altri, poco attratti dai titoli di stato, sicuri ma con rendimenti bassi, si sono concentrati sull’unico asset che sembrava garantire da una parte sicurezza e dall’altra un apprezzamento costante del 10-15 per cento annuale, le case cinesi di nuova costruzione. La loro rivalutazione regolare nei passati trent’anni ha spesso indotto i proprietari-investitori a lasciarle sfitte e a comprare, quando ne avevano la possibilità, un appartamento dopo l’altro.

La riduzione dell’inurbamento, la politica del figlio unico e l’eccesso di offerta di immobili ha fatto scoppiare la bolla immobiliare quando i prezzi delle case avevano raggiunto livelli assoluti vicini a quelli occidentali mentre i redditi cinesi sono però più bassi. Ora il governo cercherà di smorzare l’inevitabile discesa dei prezzi e di diluirla negli anni, ma al pubblico cinese è perfettamente chiaro che i soldi investiti in immobili saranno denaro morto per molto tempo.

La Cina è però un paese in cui il risparmio si forma continuamente in proporzioni sul reddito che non hanno pari al mondo. Dove può andare questo nuovo risparmio? In parte verrà certamente drenato dalle grandi emissioni obbligazionarie di lungo termine che il governo ha appena annunciato, ma in parte sentirà il richiamo antico dell’oro e dell’argento. Al governo cinese non dà fastidio che i suoi cittadini comprino oro, anche perché la Cina è diventata il maggiore produttore mondiale d’oro e il secondo di argento. Se poi di oro se ne dovesse anche importare, questo andrebbe a ridurre il surplus commerciale che è ritornato a crescere e che espone la Cina agli attacchi commerciali del resto del mondo.

Aggiungiamo agli acquisti privati quelli della banca centrale cinese, continui e costanti. E non dimentichiamo che è tutta l’Asia, in particolare l’India in rapida crescita, ad apprezzare i metalli preziosi e ad avere ora più soldi per comprarli.

Quello che vediamo è dunque un braccio di ferro tra l’occidente che è corto di oro-carta e l’oriente che è lungo di oro fisico e ne domanda dell’altro. Ecco perché i tradizionali strumenti di analisi del mercato dell’oro (dollaro, tassi, inflazione) cedono in questa fase il passo al semplice squilibrio tra domanda e offerta.

Qualcosa di simile, almeno in apparenza, accade al nuovo oro d’occidente, il bitcoin. Qui, a fronte di un’offerta finita e di un mining sempre più difficile e costoso, sta una domanda stimolata dalla facilità di acquisto prodotta dai nuovi Etf appena lanciati dalle grandi case e dalla legittimazione dello strumento che queste offrono. Se prima occorreva un quarto d’ora per portare a termine uno scambio, oggi, con gli Etf, si è arrivati a 33 scambi al secondo, più degli scambi di Etf sul Nasdaq o sull’SP. Se prima si poteva pensare che i governi avrebbero prima o poi dichiarato illegali le criptovalute ora, con i grandi fondi impegnati direttamente, questo diventa sempre meno probabile.

Nasdaq e bitcoin condividono la stessa base demografica e infatti salgono e scendono insieme in funzione della sua propensione al rischio. Chi è lungo di Nasdaq, dunque, con il bitcoin diversifica, ma non si copre.

L’accelerazione contemporanea di borse, oro e criptovalute e il recupero, lento ma costante, delle principali materie prime confermano l’ipotesi che la politica monetaria globale non è restrittiva come appare. I tassi verranno tagliati, ormai è stato promesso e Powell lo ha ribadito al Congresso, e si partirà comunque in giugno. Il ritmo dei tagli non sarà però necessariamente regolare. Ci siamo abituati, nei tre decenni passati, a cicli di rialzi e di ribassi dei tassi a raffica. Questa volta potremmo invece vedere anche pause più o meno lunge tra un taglio e l’altro. Con una buona crescita globale (confermata dall’obiettivo cinese di un’espansione del 5 per cento per il 2024) il rischio di una ripresa dell’inflazione rimarrà strutturale e indurrà le banche centrali alla prudenza.

L’Europa seguirà la Fed e taglierà in giugno. Con i tagli ormai promessi, se l’inflazione sarà di nuovo superiore alle attese le tensioni si scaricheranno sui bond lunghi. Per questo continuiamo a preferire le scadenze brevi-medie.

L’azionario, dal canto suo, ha ancora voglia e forza per salire, ma con i Magnifici Sette ora ridotti a Quattro, il rialzo dovrà ora distribuirsi anche sul resto del listino.

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