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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

BRAVE NEW WORLD

La repressione finanziaria tra utopia e distopia

Brave New World, che Aldous Huxley pubblicò nel 1932, è spesso accostato a 1984 di Orwell come descrizione distopica del socialismo reale. Ludwig von Mises, tra gli altri, lodò Huxley per il suo coraggio nel fare oggetto della sua ironia sardonica il sogno del paradiso socialista.

Brave New World, che Aldous Huxley pubblicò nel 1932, è spesso accostato a 1984 di Orwell come descrizione distopica del socialismo reale. Ludwig von Mises, tra gli altri, lodò Huxley per il suo coraggio nel fare oggetto della sua ironia sardonica il sogno del paradiso socialista.

Ci sono però differenze importanti. Orwell ha in mente il socialismo staliniano, Huxley il fordismo americano. In 1984 il potere si impossessa del passato e ne riscrive continuamente la storia, mentre per il potere di Brave New World il passato è irrilevante e va ignorato. La società di Orwell è fondata sulla scarsità e sulla miseria, quella di Huxley è opulenta e la libertà dal bisogno non è prerogativa dell’élite degli Alfa ma è goduta da tutte le classi sociali, inclusi gli Epsilon. Il fordismo, del resto, predicava il capitalismo dell’abbondanza per tutti in contrapposizione al capitalismo manchesteriano-dickensiano del secolo precedente.

Se Huxley scrivesse oggi, l’oggetto delle sue riflessioni, forse, sarebbe la Modern Monetary Theory, la nuova utopia che sembra ispirare da qualche tempo (magari più per necessità che per convinta adesione) i policy maker occidentali (ma non quelli cinesi o russi, che rimangono ortodossi). E forse a Huxley, che ammirava il georgismo, alcuni punti della MMT potrebbero anche piacere.

Diciamo che la MMT ha due anime, che cominciamo a vedere in azione sotto i nostri occhi. La prima, quella meno controversa, resta nell’ambito del capitalismo e non prevede il controllo statale dei mezzi di produzione. La grande funzione dei governi è quella di garantire un lavoro (non semplicemente un reddito, attenzione) a tutti. Per conseguire questo obiettivo la MMT, una volta cancellata ogni colpa dai concetti di debito e disavanzo pubblico, spinge al massimo la spesa pubblica. Per i disavanzi che questa crea, la soluzione è offerta dalla banca centrale, che compera senza esitare i titoli del debito pubblico non assorbiti dal mercato. L’unico vincolo è l’inflazione. Nel caso questa si manifesti, si potranno adottare misure di contenimento della domanda, preferibilmente aumentando le tasse.

La seconda anima della MMT (e il motivo per cui piace alla Squad e agli altri progressives americani) è però indifferente al vincolo dell’inflazione. Se c’è inflazione tanto meglio, perché questa, sul modello della keynesiana eutanasia del rentier, eroderà silenziosamente il patrimonio dei ricchi.

Nella MMT, insomma, c’è tanto Huxley quanto Orwell. Se fino a pochi mesi fa abbiamo visto il lato fordista (sussidi per tutti, disavanzi da tempo di guerra senza inflazione) ora, con il CPI americano sopra il 6 per cento, vediamo anche l’altro aspetto, quello redistributivo.

Per la MMT, ricordiamo, i tassi vanno tenuti permanentemente a zero, quale che sia il livello dell’inflazione. Il rimborso del nominale del debito sovrano è garantito, il suo potere d’acquisto no.

Mettendo insieme la possibilità che il nuovo governatore della Fed sia Lael Brainard, teorica del controllo di curva, con l’inflazione al 6.2 per cento, i mercati hanno deciso, almeno in prima battuta, che il tasso di policy a zero e quello decennale a 1.55 continuano ad andare benissimo. Hanno cioè reso omaggio all’utopia MMT e ribadito che l’inflazione può andare dove vuole, ma finché i tassi sono a zero, bond e azionario sono perfettamente giustificati su questi livelli e possono anzi salire ancora.

In seconda battuta, in sede d’asta Treasury, abbiamo invece visto l’aspetto distopico della MMT. Il mercato ha avuto un moto di repulsione per i rendimenti offerti e borse e bond sono scesi per qualche ora in un clima piuttosto cupo.

Molti, va detto, continuano a sostenere che è tutto sotto controllo e che le difficoltà dal lato dell’offerta di beni e servizi si risolveranno presto, dando luogo a un mondo molto bello con tanta domanda e tanta offerta e con un’inflazione che rientrerà nella norma. Si mette in evidenza come molte delle materie prime che hanno dato il via a questa ondata d’inflazione stanno tornando indietro. Questo è vero, come è vero che fra 12 mesi l’inflazione sarà più bassa di adesso e che fra 24 mesi sarà probabilmente ancora più bassa.

Sembra però meritevole di attenzione anche l’osservazione di Ray Dalio per cui l’inflazione che recede da una parte ce la ritroviamo subito dopo da un’altra parte. Si ha un bel dire, ogni volta che esce un dato sui prezzi, che è salito solo questo o quello, ma se la domanda aggregata è superiore all’offerta aggregata il livello generale dei prezzi non potrà che salire.

In conclusione, l’aspetto benigno delle politiche attuali continuerà a prevalere nei prossimi 6-9 mesi. L’altro aspetto, quello destabilizzante, si manifesterà però con ondate di paura di durata e intensità crescenti. Non può del resto non esserci un punto di rottura fra l’inflazione che rimane così alta e i tassi che restano così bassi. O l’inflazione scenderà o i tassi saliranno. Oppure, più probabilmente, ci sarà una combinazione delle due cose.

Anche nel caso migliore e più verosimile, quello di una discesa dell’inflazione e di un permanere di buoni livelli di crescita, continueremo comunque a vedere tassi reali negativi per moltissimi anni a venire. La ricerca di rendimento continuerà a spingerci sulle borse (almeno fino a quando gli utili saranno positivi) e sui beni rifugio.

Sulle borse, meglio ciclici e valore. Sui beni rifugio, meglio i collectibles e l’oro delle criptovalute.

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