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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

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Perché il mercato azionario fatica a correggere

Come un tappo di sughero nell’acqua, il mercato azionario torna velocemente a galla ogni volta che una minaccia lo spinge verso il basso. Anche la ribellione dei forum è stata riassorbita. Nel complesso il movimento di wallstreetbets ha inflitto qualche decina di miliardi di perdite a un piccolo numero di fondi hedge e ha intascato, a parte gli ultimi arrivati, una bella quantità di soldi. Ma la sua virulenza è stata stemperata non solo per questo giro, ma anche per il prossimo periodo.

Come un tappo di sughero nell’acqua, il mercato azionario torna velocemente a galla ogni volta che una minaccia lo spinge verso il basso. Anche la ribellione dei forum è stata riassorbita. Nel complesso il movimento di wallstreetbets ha inflitto qualche decina di miliardi di perdite a un piccolo numero di fondi hedge e ha intascato, a parte gli ultimi arrivati, una bella quantità di soldi. Ma la sua virulenza è stata stemperata non solo per questo giro, ma anche per il prossimo periodo.

Finché ha puntato le sue tuttora modeste munizioni contro bersagli piccoli e ben scelti (come le posizioni al ribasso su piccole società per una quantità addirittura superiore ai titoli emessi) è stato efficace. Quando è caduto nella tentazione di alzare il tiro verso bersagli più grossi, come l’argento o il Vix, la sua potenza di fuoco ha rivelato i suoi limiti. L’establishment finanziario, dal canto suo, ha serrato le file mentre ai regolatori è bastato gettare qualche granello di sabbia nell’ingranaggio (alzando i margini da depositare per le operazioni a leva) per togliere slancio a una spinta che stava già iniziando a perdere forza per conto suo.

Qualcosa rimarrà comunque di questo movimento. La sua abilità tecnica, in alcune sue componenti, non è inferiore a quella degli investitori istituzionali e anche la sua capacità di resistere alle infiltrazioni è stata finora superiore alle attese. Nei forum c’è infatti una sorta di gerarchia sia di merito sia di anzianità di presenza. I milioni di ultimi arrivati (4 milioni in una sola settimana) non vengono seguiti subito e devono guadagnarsi sul campo, con ripetuti consigli giusti, la loro capacità di influenza.

La rapida ripresa del mercato dopo lo shock iniziale e le paure di effetti sistemici ha dimostrato ancora la validità del principio per cui le crisi finanziarie (reali o, come in questo caso, temute) che avvengono in un contesto di ripresa ciclica sono sempre un’occasione di acquisto e non il segno di una possibile inversione di tendenza. Ci si lamenta spesso del fatto che i fondamentali sono messi da parte e travolti da una speculazione che bada solo a seguire la tendenza e poi li si dimentica quando episodi di crisi finanziaria hanno sullo sfondo, come è oggi il caso, due tra i fondamentali più potenti e positivi di tutti, una forte ripresa ciclica in arrivo e una politica monetaria che non è mai stata così favorevole.

Anche l’altro fondamentale decisivo, la pandemia, sta mandando messaggi complessivamente incoraggianti. I vaccini si moltiplicano e, dove vengono introdotti su larga scala, cominciano a cambiare i ritmi di diffusione della malattia. Certo, non c’è la linearità che si immaginava ingenuamente qualche mese fa e ci sono le varianti, le complicazioni organizzative e la confusione, ma la tendenza positiva comincia a profilarsi con una certa chiarezza.

Una parte del mercato è comprensibilmente frenata dalle valutazioni. Si fatica a conciliare l’idea, proposta da molti analisti, di un rialzo ancora agli inizi, con valutazioni (anche normalizzate per Covid) che appaiono così alte. Se partiamo da questa altezza, quanto sarà pericoloso restare investiti quando i livelli saranno ancora più elevati? Non rischiamo, a un certo punto, l’ennesimo crash?

La risposta a questa legittima obiezione è che non è detto che il bull market che potrebbe proseguire fino a metà decennio avrà le stesse dimensioni di quelli che l’hanno preceduto nei decenni passati. Il rialzo degli anni Duemila, su New York, ha portato l’indice da 800 a 1600. Quello seguito alla Grande Recessione del 2008 l’ha portato da 700 a 3300. In questi anni Venti, una volta partiti da 2300 nel marzo scorso, potremmo spingerci a 5-6000 a metà decennio, un rialzo ampio ma meno ampio di quello del decennio scorso.

Il problema, a quel punto, sarà capire se saremo arrivati al possibile picco di questo ciclo ancora giovane o se saremo anche al picco del ciclo secolare iniziato negli anni Ottanta. Christopher Cole, che da anni spinge i suoi studi molto più indietro, fa notare che tutte le narrazioni in mezzo alle quali siamo cresciuti noi viventi sono costruite sugli ultimi 40 anni, che sono un’eccezione rispetto alla lunga durata. Testando le strategie oggi prevalenti, dalla Risk Parity alla classica suddivisione 60/40 tra azioni e obbligazioni, Cole fa notare che sono subottimali e perfino rischiose se estendiamo le serie storiche agli ultimi 100 anni.

Come è ben noto, il grande ciclo apertosi negli anni Ottanta è un ciclo di disinflazione senza deflazione, il migliore dei mondi possibili per gli asset finanziari, sia bond sia azioni. Fu così anche negli anni Venti del Novecento, ma la novità, questa volta, è nella lentezza e gradualità del processo disinflazionistico, nel decisivo aiuto della demografia (che sta peraltro per venire meno) e nell’abilità di mantenerlo in vita senza cadere in deflazione o, peggio ancora, in una di quelle classiche crisi del debito che hanno costellato la storia anche prima del capitalismo.

Sappiamo che per capire quanto potrà durare questo ciclo (e il megaciclo di cui potrebbe essere il canto del cigno) occorrerà vedere che cosa succederà all’inflazione. La disinflazione è stata la protagonista benefica di questi 40 anni, l’inflazione in crescita potrebbe cambiare il profilo della prossima fase storica. Ora è possibile (e anzi probabile) che l’inflazione inizi a salire già nei prossimi mesi. Attenzione, però, perché non sarà quello il momento di preoccuparsi se non per temporanee correzioni di borsa. In primo luogo è fisiologico che i prezzi salgano all’inizio di una ripresa con una breve fiammata che poi tende a rientrare. In secondo luogo questa volta le banche centrali ci raccomanderanno con particolare enfasi di non guardare, di girarci dall’altra parte. Così del resto faranno loro stesse, come ci ha ricordato ieri Evans della Fed dicendo che il 2.5 o il 3 di inflazione non saranno assolutamente un problema.

Se avremo dunque il 3 per cento nel 2022-23 i tassi a lunga saliranno al 2-2.5 per cento, ma la parte breve rimarrà inchiodata a zero. Se si supereranno questi livelli, magari nel 2024, per un certo periodo si farà controllo di curva, con la banca centrale che si impegna ad acquistare una quantità illimitata di titoli finché i rendimenti non tornano sui livelli bassi desiderati.

Poiché l’azionario e i crediti si misurano sui tassi e non sull’inflazione, è possibile e probabile che, in una condizione generale di economia globale in crescita e di margini stabili, le borse possano continuare a salire anche in presenza di tensioni inflazionistiche crescenti, nel nuovo contesto, anche in modo strutturale.

A quel punto entreremo in territori inesplorati, perché la crescente repressione finanziaria (ovvero i tassi mantenuti artificiosamente molto sotto l’inflazione) comincerà a creare volatilità crescente e preparerà il terreno, nella peggiore delle ipotesi, a crisi di fiducia.

Come si vede si tratta di un percorso ancora molto lungo. Nell’avvicinarci alla metà del decennio sarà prudente, a un certo punto, abbassare gradualmente la quota di azionario e alzare quella di strumenti antifragili come l’oro o, per gli istituzionali, il lungo di Vix. Magari andrà tutto bene ancora per altri anni, ma certamente occorrerà stare più attenti.

Tornando indietro a questo 2021 appena iniziato, vediamo allora che il rapporto tra rischi e opportunità è ancora molto favorevole. Senza mai esagerare in leva e aggressività e senza attendersi movimenti clamorosi, sarebbe però un peccato rimanere fuori dal mercato.

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