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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

COME STA ANDANDO

Che fine ha fatto il 3-3-3 di Bessent

Scott Bessent, oggi segretario al Tesoro americano, lanciò un anno fa a quest’epoca la sua proposta strategica per l’economia americana. In campagna elettorale si dicono tante cose, ma quella stessa proposta è stata poi ribadita e confermata dopo il voto di novembre. Due mesi fa è stata ritirata e sostituita con un’altra.

Scott Bessent, oggi segretario al Tesoro americano, lanciò un anno fa a quest’epoca la sua proposta strategica per l’economia americana. In campagna elettorale si dicono tante cose, ma quella stessa proposta è stata poi ribadita e confermata dopo il voto di novembre. Due mesi fa è stata ritirata e sostituita con un’altra.

Vediamo prima la proposta originale, sintetizzata da Bessent con la formula del 3-3-3. Agiremo su tre fronti, diceva. Il primo sarà quello di portare la crescita reale dell’economia americana al 3 per cento, stabilizzandola su quel livello per un lungo periodo. Il secondo sarà quello di abbassare l’inflazione in modo strutturale agendo sulla voce più importante, l’energia, con un aumento della produzione americana di fossili equivalente a 3 milioni di barili in più in tempi brevi. Il terzo fronte sarà quello del disavanzo federale, da portare, questa volta gradualmente ma in modo visibile e chiaro, dal 7 per cento di Biden al 3 per cento alla fine del secondo mandato di Trump.

Per quello che possiamo vedere oggi, solo uno dei tre obiettivi originali di Bessent è stato raggiunto. Parliamo della stabilizzazione del prezzo del petrolio, oggi di 6 dollari più basso rispetto all’inizio dell’anno. Più che di un aumento della produzione americana, tuttavia, questo risultato è stato merito della diplomazia di Trump, che ha sfruttato le contraddizioni interne all’Opec per ottenere un aumento della produzione mediorientale. La produzione interna americana non ha dato ancora i risultati attesi perché è sensibile al prezzo basso, a differenza dei sauditi e degli emiratini, che agiscono di più sulla base di considerazioni politiche.

Per il futuro, il prezzo del greggio si profila stabile, se non in ulteriore discesa. In America vedremo l’effetto delle nuove regole che liberalizzano lo sfruttamento delle risorse minerarie nei terreni demaniali e in Alaska. A questo si aggiungerà la ripresa della produzione di carbone, che verrà sostenuta anche da incentivi inseriti nella finanziaria in via di approvazione. Nel resto del mondo vedremo l’ulteriore ampliamento dell’offerta di greggio da parte della Guyana e, più in là, l’entrata in funzione degli enormi giacimenti appena scoperti al largo delle coste indiane. Va ricordato che la Guyana e l’India di Modi vanno ascritte al campo strategico occidentale, come confermato dal comportamento dell’India durante la guerra dei 12 giorni tra Israele e Iran.

A parte il petrolio, in ogni caso, il piano originale di Bessent ha mancato finora gli obiettivi. La crescita americana, invece di avvicinarsi al 3 per cento, è stata nella prima metà del 2025 vicina a una media annualizzata dell’1 per cento. C’è stato l’effetto dei dazi, in parte psicologico e in parte dovuto a difficoltà nelle filiere produttive. Ci sono stati poi gli effetti delle nuove politiche dell’immigrazione, il rallentamento del mercato immobiliare e la politica della Fed moderatamente restrittiva. Nella seconda parte dell’anno vedremo probabilmente livelli di crescita accettabili ma non brillanti, con molti investimenti (sempre concentrati nell’alta tecnologia) ma con i consumi penalizzati dai dazi, questa volta non per l’incertezza bensì per la certezza di prezzi più alti (anche se non di molto, perché dai primi studi emerge che i dazi sono in buona parte stati assorbiti dagli esportatori o dalle imprese importatrici).

Anche il terzo obiettivo, quello della graduale riduzione del disavanzo al 3 per cento, è stato mancato. Il Doge è stato smantellato e Musk se ne è andato sbattendo la porta e annunciando la formazione di un nuovo partito. Dal 7 per cento di Biden il disavanzo salirà verso l’8 nel 2026.

Queste nuove realtà hanno portato Peter Berezin (ex IMF) a parlare (molto polemicamente e ironicamente) di 8-8-8 come nuova linea di Bessent. Disavanzo dell’8, inflazione dell’8, crescita nominale dell’8 (dovuta esclusivamente all’inflazione, nella sua ipotesi, con zero crescita).

Bessent, dal canto suo, di fronte all’evidenza delle scelte espansive dell’amministrazione e del Congresso, ha da due mesi abbandonato la parte fiscale del 3-3-3, passando alla linea della crescita a tappe forzate, la più bollente possibile, trainata dal disavanzo federale e, Fed permettendo, dai tagli dei tassi.

Alla luce del budget espansivo in via di approvazione questa appare certamente una linea più difendibile. Il nuovo budget non include ancora i ricavi dai dazi, che alla fine ricondurranno il disavanzo verso il 7 per cento, ma di certo non lo avvicina al 3 per cento.

I mercati, dal canto loro, stanno prendendo molto bene questo nuovo stato di cose. Il disavanzo è visto come generosamente espansivo, ma non così tanto da destare serie preoccupazioni sull’inflazione e sulla domanda di titoli governativi che lo dovranno finanziare. In più, pensano i mercati, qualsiasi eventuale debolezza della crescita o del mercato del lavoro sarà prontamente compensata da una Fed destinata in ogni caso ad abbandonare il suo atteggiamento restrittivo e ad adottare una linea fortemente espansiva l’anno prossimo.

Guardato dai mercati, il 2026 si profila come un piccolo 2021. Il 2021, si ricorderà, vide l’allineamento in senso espansivo delle politiche monetarie e fiscali. Di solito questo accade solo dopo una seria recessione, perché in tempi ordinari fiscale e monetario dovrebbero compensarsi tra loro. Allora c’era effettivamente stata la severa recessione da Covid. Oggi c’è una recessione solo temuta e che con ogni probabilità non si verificherà, ma ci sono lo stesso politiche espansive. E questa volta, a differenza di allora, queste politiche coinvolgono anche Cina e Giappone.

Il bello del 2021 fu che l’accelerazione dell’economia e l’inflazione vivace fecero molto bene alle borse ma danneggiarono pochissimo i bond, che vennero aggressivamente acquistati dalle banche centrali. Nel 2025-26 l’eventuale inflazione da dazi verrà di nuovo vissuta come transitoria e ci sarà ancora una volta un flusso di acquisti di governativi non per effetto del Qe come allora, ma per le nuove regole che permettono una maggiore leva alle banche americane. Come succede da tempo in Giappone e in Italia, saranno le banche domestiche a sostenere i Treasuries.

Quello che per i mercati fu uno splendido 2021 fu seguito da un pessimo 2022 quando le banche centrali decisero che non si poteva più tollerare un’inflazione così alta. Questa volta, per evitare un 2027 di quaresima, sarà importante che l’inflazione si mantenga nei prossimi 12-18 mesi entro livelli accettabili.

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