Ogni tre mesi i governatori della Fed e i presidenti delle Fed regionali (una distinzione importante da tenere presente, come vedremo) sintetizzano la loro personale visione sul futuro dell’economia, dell’inflazione e dei tassi. Questa previsione, che si traduce in numeri e in puntini su un diagramma (i dots), si rivela spesso sbagliata, ma è lo stesso guardata con crescente attenzione dal mercato. L’attenzione è ancora maggiore nelle fasi, come l’attuale, in cui la guidance delle banche centrali è debole o assente e i dots, con tutti i loro limiti, costituiscono un punto di riferimento.
Ogni tre mesi i governatori della Fed e i presidenti delle Fed regionali (una distinzione importante da tenere presente, come vedremo) sintetizzano la loro personale visione sul futuro dell’economia, dell’inflazione e dei tassi. Questa previsione, che si traduce in numeri e in puntini su un diagramma (i dots), si rivela spesso sbagliata, ma è lo stesso guardata con crescente attenzione dal mercato. L’attenzione è ancora maggiore nelle fasi, come l’attuale, in cui la guidance delle banche centrali è debole o assente e i dots, con tutti i loro limiti, costituiscono un punto di riferimento.
Ieri gli economisti da un lato e i mercati dall’altro hanno guardato a due parti diverse dei dots. Gli economisti si sono concentrati sulle previsioni sul cosiddetto tasso terminale, ovvero il livello sul quale dovrebbe idealmente attestarsi il tasso di policy una volta ripulita l’economia dagli squilibri presenti sul fronte dell’inflazione e su quello della disoccupazione. Per gli economisti è infatti poco rilevante se i tassi vengono modificati oggi o il mese prossimo, mentre è decisivo il tasso terminale perché determina, tra l’altro, le scelte d’investimento delle imprese o il percorso del rapporto tra debito pubblico e Pil sul lungo periodo.
Bene, il tasso terminale, fermo dal 2020 al 2.5 e alzato tre mesi fa al 2.6, è stato di nuovo alzato ieri al 2.75. Non è gran cosa, si dirà, ma questi rialzi significano o che è più alta la previsione di lungo termine sull’inflazione o che è più alto il tasso reale stimato. È significativo che questo succeda mentre il mercato è convinto che l’inflazione non farà che scendere e che il tasso reale scenderà anch’esso. D’altra parte, non è detto che la Fed si fermi qui. Economisti stimati come Larry Summers sostengono che il tasso terminale dovrebbe essere al 4 per cento. Ricordiamo che la distanza tra il tasso attuale e il tasso terminale rappresenta il grado di restrittività della politica monetaria. Minore è la distanza, meno restrittiva è la linea della Fed e meno spazio c’è per tagliare i tassi.
Tornando al Fomc di ieri, il mercato, che rispetto agli economisti è più orientato al breve termine, aspettava con ansia di conoscere le previsioni sui tagli dei tassi per quest’anno e per il prossimo. Qui la dispersione dei pareri dei componenti del Fomc è stata enorme. Uno di loro ha addirittura escluso tagli non solo per quest’anno, ma anche per il 2025. Un altro ne ha invece ipotizzati ben dieci. Gli altri si sono distribuiti tra questi due estremi. Insomma, i tassi alla fine dell’anno prossimo saranno fra il 2.25 e il 5.25, come dire che l’SP 500 sarà tra 2250 e 5250. Nebbia fitta.
Il buon dato sull’inflazione di maggio non sembra dunque avere modificato molto le attese della Fed, che riduce da tre a uno i tagli previsti per quest’anno. Certo, può darsi che i presidenti delle Fed regionali, che elaborano le loro stime con un complesso procedimento interno, non abbiano fatto in tempo (o non se la siano sentita) a modificare all’ultimo momento i numeri che avevano preparato.
Il lato positivo di tutto questo è che una Fed che alza le stime di inflazione, alza il tasso terminale ed elimina due tagli da qui a fine anno non è, evidentemente, preoccupata dalla possibilità di un rallentamento dell’economia. Che questo succeda quando mancano solo 18 settimane alle elezioni significa che sul fronte della crescita sono davvero tranquilli. Un buon segnale per l’azionario.
La nebbia che copre la politica monetaria americana si estende da qualche giorno anche ai cieli di Francia. Il terremoto politico è in pieno corso e ha provocato in poche ore scissioni in due partiti e tensioni su tutti i fronti. Proviamo a sintetizzare al massimo la situazione.
Il voto per il parlamento sarà probabilmente diverso da quello delle europee. Cambierà il numero dei votanti e sarà diverso il sistema elettorale. Sarà soprattutto diverso l’atteggiamento degli elettori, che per le europee esprimono un voto di opinione e, spesso, di protesta, mentre per le politiche prevale il voto d’interesse.
Sarà diversa anche l’offerta politica, raggruppata in tre formazioni principali di sinistra, centro e destra con il centro piuttosto debole. Ne uscirà un parlamento radicalizzato.
Il governo sarà o di destra o, più probabilmente, di sinistra alleata con un centro debole. La sinistra accusa la destra di avere la stessa politica economica del centro. In effetti le differenze tra il programma della destra e quello del centro, con l’eccezione delle pensioni, sono soprattutto sul mantenimento della sovranità francese o sulla sua devoluzione all’Europa. Sull’immigrazione Macron ha già stretto molto e la destra, nel caso, non potrà fare molto di più.
Il centro però non governerà mai con la destra. Lo farà con una sinistra che, come propensione a spendere, non è da meno della destra. Oggi la Francia ha un disavanzo pubblico del 5.5, un debito pubblico del 113.8 e un debito totale del 310 per cento, molto più alto di quello tedesco e italiano. Il debito francese, fino ad oggi, ha trovato molti compratori dall’estero, in particolare dal Giappone. I giapponesi saranno dunque decisivi nel determinare lo spread sui titoli tedeschi.
Bce e Commissione, che hanno sempre concesso alla Francia molta libertà, marcheranno stretto un eventuale governo di destra, ma dovranno fare attenzione a non portare i tassi francesi su un livello troppo alto.
In sintesi, la temperatura da qui alle presidenziali del 2027 è destinata a salire, ma non al punto da mettere in discussione la stabilità dell’euro. Il debito francese ai rendimenti attuali non offre ancora opportunità particolarmente interessanti, ma se dovesse subire dopo il voto una pressione elevata potrebbe diventare degno di considerazione.
Rimaniamo costruttivi sulle borse e cautamente possibilisti sui bond lunghi. La discesa dell’inflazione è una bella cosa, ma già sette mesi fa avevamo visto l’inflazione core americana scendere allo 0.2 per cento. Chi aveva proclamato, nei mercati, la missione compiuta aveva poi dovuto ricredersi.
Essere costruttivi in un mondo instabile significa evitare con cura di ingolosirsi. Quando c’è nebbia, è meglio andare piano.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.