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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

DECLINISMI

Il futuro è aperto, nulla è già scritto

Antropologo, demografo e sociologo, Emmanuel Todd ha previsto la fine dell’Unione Sovietica con dieci anni di anticipo, quando il consenso tutto immaginava fuorché questo esito. L’ha fatto osservando, tra l’altro, le statistiche sulla mortalità infantile in aumento e quelle sulla durata media della vita in diminuzione, che indicavano entrambe la decadenza di un sistema che all’esterno appariva ancora forte.

Antropologo, demografo e sociologo, Emmanuel Todd ha previsto la fine dell’Unione Sovietica con dieci anni di anticipo, quando il consenso tutto immaginava fuorché questo esito. L’ha fatto osservando, tra l’altro, le statistiche sulla mortalità infantile in aumento e quelle sulla durata media della vita in diminuzione, che indicavano entrambe la decadenza di un sistema che all’esterno appariva ancora forte.

Mesi fa Todd ha pubblicato un libro molto discusso, La sconfitta dell’Occidente, in cui teorizza il declino della nostra parte di mondo. In una conferenza tenuta nei giorni scorsi ha radicalizzato ulteriormente la sua visione, sostenendo che gli Stati Uniti sono solo all’inizio di un processo di decomposizione che li porterà a essere una società tribalizzata. Al nichilismo dell’America liberal di Biden, argomenta, segue ora il nichilismo dell’America di Trump. A creare il terreno di coltura per queste derive è la perdita di senso da parte di una società fino a tempi recenti aperta e creativa ma avente un solido baricentro nel protestantesimo, oggi in via di rapida ritirata e ormai disperso nelle due correnti radicali e intolleranti del woke da una parte e della teologia della prosperità dall’altra. Quella che Ibn Khaldun, nel XIV secolo, chiamava la asabiyyah, ovvero la coesione sociale, e che si esprimeva nella religione civile americana, è oggi in profonda crisi se non già evaporata.

Questo processo, di cui l’Europa è ancora inconsapevole, nasce da vari fattori, tra cui la percezione dolorosa del declino economico relativo, vissuto dall’America come una cocente sconfitta. La sconfitta nella Guerra dei Sette Anni, conclude Todd, portò alla Rivoluzione francese. Le sconfitte militari del 1905 e del 1917 portarono alla Rivoluzione russa. La sconfitta americana porterà a conclusioni che non possiamo nemmeno immaginare.

A confronto di Todd, il Ray Dalio di How Countries Go Broke, appare almeno costruttivo. Appena pubblicato e presentato in molte recensioni come una cupa analisi della corsa dell’America verso il default, Dalio offre quantomeno qualche speranza. È vero, l’America è nella quarta fase del percorso tipico dei paesi che falliscono e che il libro analizza minuziosamente e in modo avvincente, ma gliene mancano altrettante. Quel che più conta è che è ancora in tempo per arrestare la sua corsa. In fondo, non ci vorrebbe neanche molto. Basterebbe una comune volontà politica bipartisan, un taglio graduale ma non sanguinario della spesa pubblica, un modesto aumento delle tasse accompagnato da un accordo con la Fed, che si impegnerebbe a mantenere i tassi bassi.

Sarebbe in pratica una riedizione dell’accordo Clinton-Greenspan dei primi anni Novanta, quando il democratico Clinton e il repubblicano Greenspan si misero d’accordo su una politica fiscale restrittiva compensata da una politica monetaria espansiva.

Che cosa pensare? Chi vuole avere grandi e semplici visioni, diceva Max Weber, vada al cinema. La realtà presente e quella futura sono complicate e difficili da decifrare. Se guardiamo all’ottimismo sfrenato dei teorici dell’innovazione tecnologica che a fine Ottocento riempivano i teatri e lasciavano il pubblico a bocca aperta e alle previsioni sulla Finis Europae che i pessimisti diffondevano negli stessi anni nei loro libri vediamo come il mondo abbia poi proceduto a zig zag dando contemporaneamente ragione e torto agli uni e agli altri. Così, probabilmente, continuerà ad essere.

Oggi queste visioni manichee si confrontano tra l’altro sul budget americano in discussione in Congresso. Fino a due mesi fa si pensava a un budget restrittivo, prima festeggiato dai mercati e poi temuto in quanto recessivo. Oggi si teme un budget ultraespansivo, con Musk che profetizza sventure fiscali e invita gli elettori a ripudiare i parlamentari che voteranno la finanziaria. La quale, per inciso, non si sa ancora che forma definitiva assumerà.

Girano tutti i tipi di cifre e la confusione è alimentata dall’ambiguità del punto di partenza da cui si effettuano i calcoli. Per quello che si può capire, mentre sul piano contabile ci potranno essere variazioni rilevanti, su quello economico ce ne saranno molte meno. In pratica, le imposte tagliate nel 2017 per dieci anni non torneranno al livello del 2016 (e quindi tutto rimarrà invariato). In più ci saranno nuove spese compensate però in buona parte dalle entrate derivanti dai dazi. Rimarrà quindi, probabilmente, l’ampio disavanzo federale di oggi, ma non ci sarà un suo ulteriore ampliamento.

Il mercato, soprattutto obbligazionario, sembra dunque troppo preoccupato, almeno nel breve, da budget e dazi. In compenso l’azionario sembra un po’ troppo rilassato rispetto ai rischi geopolitici e geoeconomici. Ci riferiamo in particolare alla questione delle terre rare. Come è ormai noto, le terre rare non sono rare e sono diffuse anche in Occidente. Quella che è rara è la capacità di processarle, che ha in pratica solo la Cina e che noi potremmo raggiungere solo con almeno cinque anni di sforzi e accettando l’inquinamento notevole che la loro lavorazione comporta. Ora la Cina, in risposta alle limitazioni americane sull’export di tecnologia, ha disposto il blocco dell’export di terre rare processate. Le nostre scorte sono basse e l’industria dell’auto e quella degli armamenti, che usano molto le terre rare, rischiano conseguenze pesanti.

La Cina continua dunque sulla linea della risposta colpo su colpo. Siamo di nuovo al bivio tra escalation e de-escalation. Seguendo lo schema dei dazi, prima alzati all’inverosimile e poi tagliati su livelli più ragionevoli, su tecnologia e terre rare si troverà verosimilmente un compromesso che renderà le esportazioni regolate minuziosamente, rallentate e limitate, ma non tagliate del tutto.

Il quadro rimane comunque molto fluido. La crescita globale resta solida ed è addirittura in forte accelerazione in America. Al tempo stesso le statistiche sono distorte e gonfiate dai fenomeni di accaparramento.

L’azionario non si trova su livelli insostenibili, ma non ha molto spazio di crescita ulteriore finche non ci sarà chiarezza su budget e terre rare.

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