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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

FLUSSI

I meriti e i rischi dei buy-back

Oggi facciamo un po’ di riduzionismo. Riduzionismo è, ad esempio, dire che tutto ciò che è antropologico è in realtà biologico, che tutto ciò che è biologico è in realtà biochimico, che il biochimico è solo un modo di essere del chimico, che è a sua volta solo uno dei modi di manifestarsi del fisico. Il fisicalismo, sostenere che tutto è fisico, anche quando ci innamoriamo e componiamo un sonetto, regna sovrano nel mainstream scientifico globale. Tutto bene, salvo che poi bisogna ricorrere all’escamotage dell’emergentismo (una sorta di teorizzazione del miracoloso) quando si tratta di fare il percorso inverso e spiegare il nascere del biologico dal fisico o del mentale dal biologico.

Oggi facciamo un po’ di riduzionismo. Riduzionismo è, ad esempio, dire che tutto ciò che è antropologico è in realtà biologico, che tutto ciò che è biologico è in realtà biochimico, che il biochimico è solo un modo di essere del chimico, che è a sua volta solo uno dei modi di manifestarsi del fisico. Il fisicalismo, sostenere che tutto è fisico, anche quando ci innamoriamo e componiamo un sonetto, regna sovrano nel mainstream scientifico globale. Tutto bene, salvo che poi bisogna ricorrere all’escamotage dell’emergentismo (una sorta di teorizzazione del miracoloso) quando si tratta di fare il percorso inverso e spiegare il nascere del biologico dal fisico o del mentale dal biologico.

E dunque, almeno per oggi, non stiamo a spremerci le meningi sul sentiment (il mentale) o sulla politica monetaria o fiscale (il culturale), ma andiamo sull’idraulico, liquidità e flussi, e facciamo i fisicalisti anche noi. Alla fine conta di più quanto denaro rincorre i titoli e quanti titoli sono disponibili per il denaro rispetto all’ermeneutica dei comunicati del Fomc.

Sulla liquidità l’analisi non è difficile. Dopo la breve stagione della tentata (e fallita) normalizzazione del 2017-2018, la liquidità globale è tornata a crescere ben più del Pil nominale ed è programmata per continuare a farlo per una fase che si preannuncia lunga. In America è in corso un affascinante dibattito filosofico sulla natura dei nuovi interventi della Fed a sostegno del mercato interbancario della liquidità, ovvero sul fatto che le banche, invece di prestarsi i soldi tra loro, si rivolgono alla Fed, che ne crea di nuovi alla bisogna. È Quantitative easing o non lo è? Al riduzionista poco importa, un dollaro, nel suo mondo, è sempre un dollaro.

Passando dalla liquidità ai flussi, ovvero dall’oceano alle correnti che lo attraversano, sappiamo ormai tutti che il più grande e aggressivo compratore di azioni, negli ultimi anni, è il mondo delle società. L’acquisto di azioni proprie continua anche su questi livelli di mercato per varie ragioni che andiamo a esaminare.

La ragione citata più spesso dagli ottimisti è che le società, che conoscono se stesse meglio di quanto le possa conoscere il mercato, si ritengono sottovalutate. In alcuni casi è certamente vero, ma non può che nascere qualche sospetto quando si vanno a guardare le vendite di azioni da parte dei manager delle società stesse, al massimo storico, quando agiscono come individui. In pratica, è come se i manager vendessero individualmente le azioni che fanno ricomprare alla società in cui lavorano.

La ragione citata dai pessimisti è che il quadro economico è così poco invitante che le società che hanno liquidità, non trovando niente di interessante da acquisire e non avendo nessuna voglia di mettere soldi in nuovi impianti perché intravedono un basso ritorno sugli investimenti, si rassegnano a restituire capitale al mercato e a diventare più piccole.

Ci sono poi altre due ragioni, una razionale e un’altra molto probabilmente vera. La motivazione razionale è che raccogliere soldi con il debito in una fase storica di tassi a zero costa meno, per le aziende, che emettere azioni. Emettere debito per ricomprare azioni proprie fa in molti casi risparmiare e aumenta gli utili per azione due volte, la prima perché fa crescere gli utili e la seconda perché fa diminuire il numero di azioni su cui distribuirli.

La ragione più vera di tutte è però un’altra. Molti CEO, soprattutto in America, fanno legare la parte variabile della loro retribuzione al valore in borsa della società che dirigono e hanno quindi un interesse particolare a farlo salire. E si raggiunge lo scopo più facilmente comprando azioni proprie piuttosto che attraverso investimenti produttivi rischiosi.

Insomma, l’acquisto di azioni proprie è un’ottima cosa quando la società è davvero sottovalutata, ma si presta ad abusi quando viene fatto anche da chi sottovalutato non è. Alla lunga, inoltre, la sostituzione di equity con debito rende più fragile la struttura patrimoniale delle imprese ed espone al rischio, in caso di recessione e di cadute di borsa, di dovere fare precipitosamente il contrario, emettere azioni per ripagare debito. Si finisce, se si agisce incautamente, con il comprare azioni proprie anche sui massimi di mercato per poi doverle rivendere, riemettendole, sui minimi.

Sia come sia, gli acquisti di azioni proprie continuano. Hanno però smesso di crescere e sono anzi in leggera flessione rispetto all’anno scorso. In più, rispetto a un anno fa, lo stesso numero di dollari compra il 20 per cento in meno di azioni, dal momento che il loro prezzo unitario, nel frattempo, è aumentato di un quinto.

Questo sarebbe un problema contenuto (a parità di altre condizioni si limiterebbe a rallentare il ritmo del rialzo azionario) se non fosse che i buy-back hanno attirato l’attenzione di molti politici, in prevalenza democratici ma non solo. In questa legislatura, ancora per un anno, non se ne farà nulla, ma nel 2021, con un Congresso democratico e una Casa Bianca forse dello stesso segno, il ricorso ai buy-back verrà disincentivato in vari modi. Ci sono proposte di tassarli come dividendi, altri chiedono che siano permessi solo a chi rispetta certi standard ESG (ambientali, sociali e di governance), altri ancora vogliono limitarne la quantità.

In qualche modo, i soldi in meno spesi in buy-back ritorneranno al mercato in altra forma (aumenti retributivi per i dipendenti, maggiori investimenti produttivi) ma l’effetto netto sarà comunque il venir meno di un supporto forte, affidabile e costante alle quotazioni e una maggiore volatilità.

Riassumendo, l’analisi della liquidità e dei flussi ha visto tra il 2017 e il 2018 la liquidità come fattore moderatamente ostile e i buy back come contrappeso positivo. Il 2019 e il 2020 ci mostrano una liquidità di nuovo favorevole e buy-back neutrali. Dal 2021 in avanti vedremo di nuovo, con ogni probabilità, una liquidità favorevole ma buy-back in calo.

Staremo a vedere, ma per il momento è rassicurante che i fattori positivi siano prevalenti.

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