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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

FRANCIA

I possibili effetti sui mercati del voto di aprile

Sembra storia antica, ma tra la fine del 2016 e la metà del 2017 le presidenziali francesi ebbero ampie ripercussioni sui mercati finanziari. La possibilità di un successo di Marine Le Pen prima, e l’ampia vittoria di Emmanuel Macron in seguito, contribuirono a ribaltare il corso dell’euro, che toccò un minimo di 1.04 contro dollaro in dicembre e balzò fino a 1.25 nel giugno successivo. Nello stesso arco di tempo il Cac 40, nonostante la perdita di competitività derivante dal rafforzamento dell’euro, riuscì a guadagnare il 19 per cento, trascinandosi dietro tutte le borse continentali e creando per qualche mese l’illusione di un sorpasso duraturo del mercato europeo rispetto a quello americano.

Sembra storia antica, ma tra la fine del 2016 e la metà del 2017 le presidenziali francesi ebbero ampie ripercussioni sui mercati finanziari. La possibilità di un successo di Marine Le Pen prima, e l’ampia vittoria di Emmanuel Macron in seguito, contribuirono a ribaltare il corso dell’euro, che toccò un minimo di 1.04 contro dollaro in dicembre e balzò fino a 1.25 nel giugno successivo. Nello stesso arco di tempo il Cac 40, nonostante la perdita di competitività derivante dal rafforzamento dell’euro, riuscì a guadagnare il 19 per cento, trascinandosi dietro tutte le borse continentali e creando per qualche mese l’illusione di un sorpasso duraturo del mercato europeo rispetto a quello americano.

Questa volta il voto francese non sembra destinato a muovere i mercati e certamente non è ancora entrato nel loro radar. Macron viene indicato come favorito e nulla, si pensa, cambierà nel panorama francese ed europeo.
Il Macron del 2022 è però diverso da quello del 2017. La spinta riformatrice su cui contavano cinque anni fa molti suoi sostenitori si è arenata quasi subito. La riduzione del perimetro del debordante stato francese non c’è stata. C’è stata al contrario una forte espansione della spesa pubblica per rispondere al movimento dei gilets jaunes e comprare consenso. Il debito pubblico ha continuato a salire (più velocemente di quello italiano) ben prima della pandemia e si avvicina oggi al 120 per cento del Pil. Sommato all’ampio debito privato, il debito totale francese è oggi superiore a quello italiano.

La Francia è inoltre l’unico paese dell’eurozona in disavanzo sulle partite correnti e la sua distanza rispetto agli altri paesi, tutti esportatori netti, è ulteriormente aumentata durante la pandemia. Infine, nonostante l’ampio ricorso al debito, la Francia crescerà meno, nei prossimi anni, di Germania e Italia.

Sul piano della politica culturale, molto importante in Francia, Macron, ritrovandosi privo di avversari autorevoli a sinistra, si è progressivamente spostato a destra nel tentativo di ampliare la sua base di consenso. Ha lanciato, unico leader occidentale, un’aggressiva campagna contro l’identitarismo islamico e ha dato una forte stretta all’immigrazione.

Nonostante la sua svolta, Macron può ancora contare al ballottaggio sul voto della sinistra, che in questi anni si è indebolita ulteriormente e non è oggi in grado di esprimere voci alternative. Il consenso di Mélenchon, la grande sorpresa che nel 2017 sfiorò il 20 per cento, si è dimezzato. Gli altri candidati hanno un consenso ancora più basso e perfino i Verdi, che nel resto d’Europa godono di un momento favorevole, appaiono in ritirata.

Ci sono però novità a destra ed è qui che potrebbero esserci implicazioni per i mercati. Fino a tempi recenti, infatti, veniva data per scontata una riedizione del ballottaggio Macron-Le Pen, che Macron (con una Le Pen in crisi di idee dopo lo spostamento al centro che non ha dato risultati) avrebbe facilmente rivinto.

Ora si profilano però due possibilità inattese. Una è il riemergere di una candidatura gollista con qualche possibilità di vittoria, l’altra è l’ascesa di Éric Zemmour.

Conosceremo il nome del gollista il 4 dicembre. Dei tre nomi favoriti uno, Bertrand, non si differenzia molto da Macron. Gli altri due, tuttavia, meritano l’attenzione dei mercati. Sia l’enarca Valérie Pécresse sia Michel Barnier (che ricordiamo per la sua durissima gestione delle trattative sulla Brexit) proclamano infatti la supremazia della legge francese rispetto a quella europea. Si schierano di fatto, quindi, con la Polonia e contro la Commissione europea, come fanno del resto anche il candidato socialista Montebourg e, ovviamente, Zemmour.

Un secondo punto, particolarmente rilevante per il mondo ESG, è che la Pécresse, tra i suoi tre punti qualificanti, ha un forte rilancio del nucleare con l’apertura di sei nuove centrali e il mantenimento in funzione di tutte le centrali esistenti.

Se si andasse oggi al voto, tuttavia, l’avversario di Macron al ballottaggio, ci dice l’ultimo sondaggio pubblicato, non sarebbe un gollista e nemmeno la Le Pen, ma Zemmour. La novità di Zemmour, un giornalista che non è mai stato in politica, consiste nel rivolgersi contemporaneamente alle due destre francesi, quella borghese e quella populista. Più radicale della Le Pen sull’immigrazione (zero immigrazione illegale, zero immigrazione legale, come ebbe a dire il segretario comunista Marchais nel 1980), Zemmour si proclama bonapartista in politica e liberale in economia e non mette in discussione né l’euro né l’appartenenza della Francia all’Unione.

Con Pécresse, Barnier o Zemmour all’Eliseo le tensioni tra Francia e Germania monterebbero e l’Europa tornerebbe alle geometrie variabili che ha conosciuto in passato. Il patto di stabilità, dal canto suo, sarebbe ben difficile da ripristinare. Quanto alla transizione energetica, il nucleare che viene smantellato in Germania verrebbe rilanciato in Francia, in omaggio a un’Europa delle patrie in cui la politica torna a essere nazionale.

Venendo all’attualità dei mercati, è degno di nota come il quasi azzeramento della crescita americana nel terzo trimestre, le evidenti difficoltà in cui versa l’economia cinese e le persistenti tensioni inflazionistiche non abbiano tolto alla borsa americana la voglia di fare nuovi massimi. Sono di grande aiuto i buoni utili, naturalmente, ma anche la fiducia che la crescita tornerà ad accelerare. Con utili e crescita che vanno nella direzione giusta l’inflazione non è un problema per le borse finché i tassi rimangono compressi. E cioè, come minimo, per ancora 9-12 mesi.

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