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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

L’ALTRA GUANCIA

I dazi tra orgoglio e buon senso

In teoria dei giochi la strategia Tit for Tat (colpo su colpo) è considerata vincente. Ci sono due giocatori che, come a scacchi, si muovono uno per volta. Ogni mossa può essere ostile o collaborativa. La strategia suggerisce al giocatore che sceglie di adottarla di essere sempre collaborativo quando la prima mossa tocca a lui o quando la mossa dell’altro giocatore è stata collaborativa. Se però l’altro a un certo punto diventa ostile la risposta sarà vendicativa, cioè ostile. Dopo questa risposta, se dall’altra parte non c’è una nuova mossa ostile, la strategia suggerisce di ritornare subito collaborativi, di non cercare cioè di contrattaccare.

In teoria dei giochi la strategia Tit for Tat (colpo su colpo) è considerata vincente. Ci sono due giocatori che, come a scacchi, si muovono uno per volta. Ogni mossa può essere ostile o collaborativa. La strategia suggerisce al giocatore che sceglie di adottarla di essere sempre collaborativo quando la prima mossa tocca a lui o quando la mossa dell’altro giocatore è stata collaborativa. Se però l’altro a un certo punto diventa ostile la risposta sarà vendicativa, cioè ostile. Dopo questa risposta, se dall’altra parte non c’è una nuova mossa ostile, la strategia suggerisce di ritornare subito collaborativi, di non cercare cioè di contrattaccare.

Come si vede il Tit for Tat non è molto diverso dalla legge del taglione, occhio per occhio dente per dente, e storicamente ha sempre funzionato abbastanza bene come deterrente nei confronti degli aggressori, pur senza mai bloccarli del tutto. La sua filosofia è che attaccare non paga, mentre collaborare porta a un risultato a somma positiva per le parti. In natura la legge della giungla ci dice che il Tit for Tat non è sempre applicabile (si nasce predatori o prede e non si può cambiare il proprio destino), ma all’interno di una specie (e tra specie simbionti) l’atteggiamento collaborativo, in generale, è biologicamente vincente.

Il Tit for Tat ha una variante gentile, il Tit for Two Tats, in cui al primo attacco subito si risponde porgendo (una volta sola) l’altra guancia, contando sul fatto che l’altro giocatore, soddisfatto di avere avuto quello che voleva e di averla fatta franca, si rimetterà a collaborare. Ovviamente, se l’altro giocatore si farà prendere dal senso della sua onnipotenza (o della nostra impotenza) e continuerà ad attaccare, la legge del taglione verrà immediatamente ripristinata.

Chi usa BitTorrent per scambiare file all’interno della comunità peer-to-peer conosce il Tit for Two Tats. Chi prende senza dare viene punito dal software, che mette in una breve quarantena gli egoisti ma poi offre una seconda possibilità a chi ha capito e intende riprendere a collaborare.

L’America di Trump è l’attaccante nella partita dei dazi. Nella testa di Trump e dei suoi consiglieri l’attacco è in realtà la risposta a un torto subito nel corso di settant’anni durante i quali il resto del mondo ha approfittato bassamente della disponibilità americana a un libero scambio asimmetrico.

In realtà, nelle due versioni del Tit for Tat che abbiamo ricordato, non ha molta importanza chi ha attaccato per primo, se il resto del mondo che si è fatto i comodi suoi dal 1947 a oggi o l’America che di punto in bianco rovescia il tavolo. Quello che importa veramente è che ora è a Europa e Cina che tocca muovere.

La strategia del Tit for Tat prevede una risposta perfettamente uguale e contraria. Se Trump dispone dazi su 34 miliardi di merci provenienti dalla Cina (tecnologia medica, componentistica auto, macchinari) la Cina, alla stessa ora, si prepara a disporre dazi su un identico controvalore di derrate agricole importate dall’America. L’orgoglio è salvo e per un paese che si ritiene oggi una potenza di pari grandezza rispetto agli Stati Uniti e che sa che ben presto sarà la prima superpotenza l’orgoglio è importante.

Anche la tecnocrazia europea propende per il Tit for Tat e minaccia dazi su 200-300 miliardi di importazioni dall’America nel caso questa intenda davvero colpire le auto tedesche. La tecnocrazia europea ha assunto nel tempo sempre più potere e si è abituata a trattare dall’alto in basso i suoi interlocutori domestici. È naturale che il suo istinto la porti ad avere un atteggiamento sprezzante nei confronti di Trump.

La tecnocrazia di Bruxelles non è però l’unico soggetto europeo a decidere la politica commerciale e la risposta da dare a Trump. Ci sono anche gli stati nazionali, molto più sensibili alle pressioni dell’industria e dei sindacati. Per la Germania i dazi sull’auto sarebbero un’emergenza nazionale con ricadute sulla crescita e sull’occupazione.

La Germania sa che perderebbe su tutta la linea andando al colpo su colpo con Trump ed è per questo che, mentre Bruxelles gioca al Tit for Tat, Berlino prova dietro le quinte il Tit for Two Tats. E cioè tratta con l’attaccante.

Per farlo si aggrappa all’idea più radicale di Trump, che non è quella di alzare i dazi ma quella di abolire tutti i dazi o, quantomeno, di abbassarli tutti quanti insieme. Magari un settore alla volta e con trattativa bilaterale invece che multilaterale.

Come scrive Karl Rove sul Wall Street Journal l’Europa deve decidere se collaborare e trattare con un Trump all’attacco e concedergli il beneficio del dubbio sul suo essere un sincero fair trader o se considerarlo un protezionista tout court e contrattaccare in grande stile.

Nel primo caso i margini per trovare un accordo ci sono tutti. L’Europa è più protezionista dell’America sulle auto ma è vero il contrario sui camion e sui Suv. Ad abbassare i dazi su tutta la linea ci saranno sicuramente dei perdenti, ma nel complesso i danni saranno inferiori rispetto alla chiusura dei mercati.

Trump non ha nessuna simpatia nè per la Germania nè tantomeno per l’Unione Europea ma, dopo avere aperto un impressionante contenzioso con il resto del mondo, ha bisogno di portare a casa almeno un successo prima delle elezioni di novembre. La Cina, paralizzata dal suo orgoglio nazionalista, difficilmente farà concessioni nel breve termine mentre l’Europa, che in questo momento di tutto ha bisogno meno che di un grosso problema commerciale, potrebbe mostrarsi più malleabile.

L’Europa ha del resto una lunga coda di paglia. Si fa difendere militarmente dagli Stati Uniti spendendo per la difesa un terzo di quello che mettono loro e ora che se ne va il Regno Unito l’ombrello protettivo americano è ancora più necessario. Quanto alle auto, anche includendo camion e Suv, l’Europa è di gran lunga più protezionista. Andare incontro alle richieste americane è praticamente inevitabile.

La sola notizia di trattative concrete con la partecipazione dei grandi produttori di auto tedeschi ha rianimato l’euro e le borse europee. Un accordo con l’America, che richiederà comunque ancora del tempo, sarebbe un grande tonico per i ciclici europei e potrebbe regalare un recupero del 5 per cento alle borse.

Avremmo qualche Suv americano in più sulle nostre strade, ma se questo fosse il prezzo da pagare per evitare un diffuso malessere sui mercati e un indebolimento di una crescita che in Europa sta già perdendo velocità ne varrebbe davvero la pena.

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