rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

L’ALTRA METÀ DEL CIELO

Le politiche fiscali continuano a sostenere l’economia

La faccia nascosta della luna, quella che dal nostro pianeta non si vede mai, è stata vista e fotografata per la prima volta solo nel 1959. Nessun veicolo è mai allunato sul suo terreno sabbioso fino al 2019, quando i cinesi, oltre ad allunare, hanno posizionato stabilmente un loro satellite in un punto di Lagrange situato sopra il lato opposto rispetto a quello che vediamo noi. Da allora i cinesi, che stanno sviluppando con cura il loro apparato di satelliti militari, possono comunicare con l’altra metà del cielo lunare.

La faccia nascosta della luna, quella che dal nostro pianeta non si vede mai, è stata vista e fotografata per la prima volta solo nel 1959. Nessun veicolo è mai allunato sul suo terreno sabbioso fino al 2019, quando i cinesi, oltre ad allunare, hanno posizionato stabilmente un loro satellite in un punto di Lagrange situato sopra il lato opposto rispetto a quello che vediamo noi. Da allora i cinesi, che stanno sviluppando con cura il loro apparato di satelliti militari, possono comunicare con l’altra metà del cielo lunare.

Il controllo dei cinque punti di Lagrange (che sono l’equivalente nello spazio di Suez, Malacca e Panama) permetterà, in un futuro conflitto, di neutralizzare più facilmente i satelliti, e quindi le comunicazioni, dell’avversario.

Per i mercati, le politiche fiscali costituiscono di fatto la faccia seminascosta delle politiche economiche dei governi. Se le politiche monetarie sono illuminate a giorno dalla trasparenza delle banche centrali e dal potente fascio di luce che i mercati irradiano su loro, le politiche fiscali sono scarsamente esplorate ed entrano di rado nel dibattito. Solo nei paesi che hanno o potrebbero avere difficoltà a finanziarsi, generalmente paesi emergenti, le politiche fiscali tornano al centro dell’attenzione. Nei paesi al di sopra di ogni sospetto, in particolare negli Stati Uniti, il dibattito sulle politiche di bilancio è prevalentemente ideologico e politico, mentre per i mercati è oggetto di un’attenzione generalmente modesta e inferiore a quella di periodi storici passati come gli anni Settanta-Novanta.

È un peccato, perché la politica fiscale è tornata protagonista non solo nel biennio 2020-21, quando i disavanzi pubblici hanno superato quelli raggiunti durante la seconda guerra mondiale, ma è tuttora molto rilevante e forse decisiva per spiegare come mai, nonostante, i forti rialzi dai tassi degli ultimi 12 mesi, l’economia stia ancora crescendo e l’inflazione stia calando così lentamente.

Politica monetaria e politica fiscale remano infatti, negli Stati Uniti, in direzioni opposte, restrittiva la prima ed espansiva la seconda. Il disavanzo federale è stato pari al 5.4 per cento del Pil nel 2022, sarà del 5.5 quest’anno e continuerà a crescere l’anno prossimo, avvicinandosi al 6 per cento e forse superandolo in caso di recessione. Nonostante l’aumento della pressione fiscale, il condono di una parte dei prestiti universitari, i sussidi alle auto verdi e alle rinnovabili contenuti nell’Inflation Reduction Act e l’incapacità di tenere sotto controllo la spesa corrente hanno reso impossibile ripristinare le politiche moderate delle amministrazioni dei decenni scorsi, tanto democratiche (Clinton e Obama) quanto repubblicane (Bush e Trump).

I disavanzi possono essere letti in tre modi. In quello classico, che paragona i conti pubblici a quelli di una famiglia o di un’impresa, sono visti come una spesa presente che toglie spazio e risorse alle generazioni future, che dovranno rimborsare il debito. Nella visione prevalente negli ultimi quattro anni i disavanzi sono invece una buona cosa nella misura in cui sono prodotti da investimenti pubblici che garantiscono un ritorno in termini di crescita superiore al costo del debito. Secondo la Modern Monetary Theory, d’altra parte, sono semplicemente un modo per creare risorse per l’economia e possono essere ampi quanto si vuole, a condizione che non creino inflazione. In caso di inflazione, secondo la MMT, si aumentano le tasse (che in pratica, in questa visione, non scendono mai).

Quale che sia il giudizio di valore sulle politiche fiscali espansive, è indubbio che, a parità di altre condizioni, il loro effetto vada bilanciato da politiche monetarie più restrittive. Fu questa, del resto, la giustificazione addotta da Powell nel 2018, quando la Fed alzò i tassi per compensare i tagli di tasse di Trump, provocando un pesante ribasso delle borse.

Un’altra conseguenza dei disavanzi elevati, che nel tempo concorrono ad un aumento del debito pubblico, è che diventa più forte la tentazione di contenerli e ridurli attraverso l’inflazione. Le banche centrali possono essere sinceramente intenzionate a ridurre l’inflazione, ma sanno anche che l’inflazione fa molto comodo perché gonfia il Pil nominale e riduce il rapporto tra debito e Pil. Se il rapporto debito-Pil in questo modo non sale, i governi non hanno a loro volta controindicazioni per continuare ad aumentare la spesa. Nel lungo periodo, dunque, le politiche fiscali espansive, di fatto, tendono a comprimere i tassi reali fino a renderli negativi.

Nei prossimi tre mesi la politica fiscale americana avrà anche una particolare influenza sull’andamento quotidiano dei mercati. Comunque si risolva lo scontro sul tetto all’indebitamento, le emissioni del Tesoro subiranno conseguenze rilevanti, prima rallentando e poi, a partire da agosto, accelerando bruscamente per riempire le casse ormai svuotate. L’accelerazione delle emissioni assorbirà liquidità e farà probabilmente lievitare i tassi. La Fed sarà al lavoro per mitigare le conseguenze, che comunque si sentiranno.

L’amministrazione Biden sta rispolverando vecchie proposte per aggirare la questione del tetto. Sia l’invocazione del XIV Emendamento, sia la coniazione di una o più monete con un valore nominale di un trilione di dollari da collocare presso la Fed si prestano però a contestazioni da parte della Corte Suprema.

Da questo discorso traiamo due conclusioni. La prima strategica, deve indurre gli investitori a una certa prudenza negli investimenti obbligazionari con scadenze lunghe perché l’inflazione, che nei prossimi mesi continuerà ciclicamente a scendere, difficilmente resterà su livelli vicini al 2 per cento quando l’economia, a partire dall’anno prossimo, tornerà ad accelerare.

La seconda conseguenza, sul piano tattico, è di preparare i portafogli a un possibile aumento di volatilità nelle prossime settimane per effetto dello scontro politico sul tetto all’indebitamento. Si tratta in pratica di creare adesso un po’ di spazio per la liquidità in modo da potere approfittare di eventuali momenti di tensione in giugno e luglio.

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