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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

MONETE VIRTUALI

Bitcoin e valute ufficiali digitali ci parlano di inflazione

Si è parlato molto, quest’anno, della forza dei titoli tecnologici, visti dal mercato come bene rifugio di fronte al terremoto della pandemia. A un certo punto qualcuno ha poi fatto due conti e ha notato che i titoli auriferi, ora anch’essi in fase di consolidamento, stavano andando ancora meglio dei tecnologici. Adesso si scopre che l’asset class che ha corso di più nel 2020 è il bitcoin. Ha finito il 2019 a 7300 dollari e si ritrova ora a 18000. Il suo rialzo sembra prendere forza ogni giorno che passa.

Si è parlato molto, quest’anno, della forza dei titoli tecnologici, visti dal mercato come bene rifugio di fronte al terremoto della pandemia. A un certo punto qualcuno ha poi fatto due conti e ha notato che i titoli auriferi, ora anch’essi in fase di consolidamento, stavano andando ancora meglio dei tecnologici. Adesso si scopre che l’asset class che ha corso di più nel 2020 è il bitcoin. Ha finito il 2019 a 7300 dollari e si ritrova ora a 18000. Il suo rialzo sembra prendere forza ogni giorno che passa.

Non avete visto ancora nulla, ci dice Thomas Fitzpatrick di Citibank, in questi giorni ampiamente ripreso dai media. Il bitcoin chiuderà il 2021 a 318mila dopo essere salito nel corso dell’anno molto più in alto. L’argomentazione è che il bitcoin non sta facendo altro che seguire le orme dell’oro degli anni Settanta, quando da 35 dollari nel 1971 salì a 850 nel gennaio 1980. Allora si trattò dell’uscita dal Gold Exchange Standard e dell’entrata nel paradigma monetario del fiat money. Dal 2009 il fiat money controllato dei primi tre decenni si è trasformato con il Quantitative easing in qualcosa di diverso, che cambierà ulteriormente nel prossimo decennio con l’adozione di fatto della Modern Monetary Theory da parte di molte banche centrali. Il bitcoin è il successore dell’oro, continua Fitzpatrick, ma è molto più volatile. Un ciclo di rialzo che ne comporti un aumento di prezzo di cento volte è assolutamente normale, per cui la stima di 318mila va considerata prudenziale e moderata.

Che dire? Il bitcoin, ontologicamente, è come la divinità in certe correnti della mistica. È al tempo stesso assoluto essere e assoluto nulla. È assoluto essere perché, a regime, sarà per l’eternità sempre uguale a se stesso. Ci sono oggi in circolazione 18 milioni di bitcoin e quando i cosiddetti minatori ne avranno prodotti altri tre milioni arriveremo al tetto di 21 milioni, che da statuto rimarrà insuperabile fino alla fine dei tempi. Una valuta parmenidea più perfetta dell’oro, che continua ogni giorno a essere estratto dalle viscere della terra e che Elon Musk e Jeff Bezos estrarranno un giorno dagli asteroidi.

Ma anche assoluto nulla, dal momento che il bitcoin non ha dietro o sotto di sé nulla di nulla. È una pura astrazione che non ha la materialità dell’oro e di tutte le monete che sono state create dal neolitico a oggi e non ha nemmeno, come fondamento, la forza degli stati nazionali che, imponendo ai loro cittadini tasse da pagare nella valuta emessa dagli stati stessi, trasformano la loro carta in valore.

Sappiamo d’altra parte che la nozione di bene rifugio è storicamente determinata. Le pallottole bolsceviche che fucilarono lo Zar e i suoi famigliari rimbalzarono, narra la leggenda, perché nei loro abiti erano cuciti i diamanti che avevano trafugato dalla corte imperiale prima di fuggire da Pietroburgo. Fra qualche tempo, tuttavia, sarà praticamente impossibile distinguere i diamanti naturali da quelli sintetici producibili a basso costo e il rarity value dei diamanti sarà, come minimo, messo in discussione.

Se oggi il bene rifugio è (o sta per diventare) il bitcoin, non resta che prenderne atto. È quello che hanno fatto illustri testimonial come Druckenmiller e i tanti convertiti che fino a ieri lo consideravano eccentrico e oggi lo mettono con gusto nei loro portafogli.

Ma rifugio da che cosa? Dall’inflazione, quasi sicuramente, visto che di guerre mondiali per Taiwan si parla ancora solo a livello accademico. Dall’inflazione che verrà, se verrà, non da quella che sotto i nostri occhi sta andando nella direzione opposta, quella della deflazione. E di deflazione parleremo ancora fino a primavera se Thanksgiving, Natale e Capodanno si trasformeranno in nuove opportunità di espansione per Covid e porteranno ad altre restrizioni in gennaio. Di deflazione parleremo anche il 5 gennaio se i repubblicani conquisteranno almeno uno dei due seggi del Senato in palio in Georgia e avranno modo, controllando la camera alta per altri due anni, di limitare allo stretto necessario le misure fiscali espansive della prossima amministrazione (non dimentichiamo che i soldi li controlla il Congresso, non la Casa Bianca).

Ecco perché le banche centrali, una settantina fino a questo momento, stanno accelerando sui loro programmi di creazione di valuta digitale (Central Bank Digital Currency, CBDC). Ci sono certamente considerazioni di sicurezza e di efficienza nel sistema dei pagamenti, ma il grande obiettivo delle CBDC è di politica monetaria e di politica tout court.

Le valute digitali ufficiali saranno, potenzialmente, l’arma nucleare definitiva contro la deflazione per due motivi.

Il primo è che, rendendo possibile l’abolizione del contante, renderanno possibile anche l’introduzione di tassi profondamente negativi in caso di nuova pesante recessione. Se i tassi sui bond e sul conto corrente fossero ad esempio del tre per cento negativo, molti si metterebbero in fila davanti alle banche per ritirare i loro soldi sotto forma di banconote. Abolite le banconote, non potrebbero più farlo e i tassi negativi, almeno in teoria, potrebbero dispiegare tutti i loro effetti espansivi.

Il secondo obiettivo delle CBDC è quello di rendere possibile l’accredito immediato di fondi creati dal nulla sui conti che imprese e cittadini potrebbero aprire direttamente presso le banche centrali. Queste, nei tempi veloci della politica monetaria, potrebbero creare moneta a effetto istantaneo immessa direttamente come una flebo nelle vene dei consumatori finali. Ricordiamo che oggi la parte più consistente dell’offerta di moneta è creata dalle banche, non dalla banca centrale. Le banche, nelle fasi di recessione, hanno però paura a prestare soldi (a creare cioè la moneta che accreditano sui conti di chi chiede loro un finanziamento) e se non hanno paura hanno comunque da rispettare requisiti patrimoniali che ne limitano la libertà d’azione. La banca centrale, nel caso, non avrebbe né paura né limiti.

Si è parlato, negli ultimi anni, di crisi delle banche centrali, tornate di fatto sotto l’ala del Tesoro come era in origine e come è sempre stato in tempo di guerra. Quello che si profila è però, almeno potenzialmente, un aumento sostanziale del loro potere. Se mettiamo insieme le CBDC con la lotta ai cambiamenti climatici, che è ora prioritaria per la Bce, e quella contro le disuguaglianze, che è ora priorità della Fed, vediamo chiaramente l’allargamento delle loro competenze dal monetario al fiscale e al regolatorio. E questo prima ancora che il potere politico ufficializzi queste trasformazioni e le introduca nello statuto delle banche centrali.

Certo, sulle CBDC le banche centrali promettono gradualità e prudenza e rassicurano le banche ordinarie sul fatto che non verranno aggirate e marginalizzate. All’inizio sarà sicuramente così, ma certamente si aprono per il futuro orizzonti molto diversi rispetto a quelli cui eravamo abituati.

Bitcoin e CBDC ci dicono dunque la stessa cosa, ma con sfumature diverse. Il bitcoin che sale ci parla di inflazione all’orizzonte. Le CBDC ci parlano della paura della deflazione che le banche centrali hanno oggi più che mai e della loro volontà di reflazionare a tutti i costi, compreso il rischio di avere davvero un ritorno effettivo dell’inflazione.

La difficoltà dei prossimi tre mesi, per chi sta sui mercati, sarà quella di conciliare le notizie promettenti sui vaccini con la realtà preoccupante di una pandemia che si avvia verso la sua stagione più pericolosa e di trovare un equilibrio tra le attese sempre più forti di reflazione e la realtà di prezzi che scendono a velocità accelerata. Alla fine un movimento laterale (con la continuazione lenta della rotazione già avviata nell’azionario) potrebbe essere, per bond e azioni, l’esito più ragionevole.

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