rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

NORMALIZZAZIONE

Il complicato ritorno al mitico 2019

Nel considerare gli sviluppi dell’economia del Novecento, la storiografia economica ha sempre avuto due date di riferimento, il 1913 e il 1938, intese come una specie di età dell’oro seguita dalle devastazioni della guerra. Quanto tempo sia occorso perché l’economia tornasse ai livelli del 1913 o del 1938 è stata la domanda classica degli storici, in particolare per i paesi sconfitti e per quelli che furono sconvolti da rivoluzioni sociali e politiche alla fine della guerra.

Nel considerare gli sviluppi dell’economia del Novecento, la storiografia economica ha sempre avuto due date di riferimento, il 1913 e il 1938, intese come una specie di età dell’oro seguita dalle devastazioni della guerra. Quanto tempo sia occorso perché l’economia tornasse ai livelli del 1913 o del 1938 è stata la domanda classica degli storici, in particolare per i paesi sconfitti e per quelli che furono sconvolti da rivoluzioni sociali e politiche alla fine della guerra.

La Germania, ad esempio, ritornò ai livelli di Pil del 1913 solo nel 1927. Perché poi la Germania occidentale tornasse a un reddito pro capite simile a quello del 1938 si dovette aspettare fino al 1954 (fonte Barry Eichengreen). Ancora più colpita fu la Russia, che dovette attendere i primi anni Trenta per ritornare al reddito pro capite del 1913. Più veloce fu il recupero dopo la Seconda guerra mondiale (che l’Urss vinse) e già nel 1948 si ritornò ai livelli del 1938.

Il Covid è stato trattato dai governi occidentali come una guerra mondiale se si considera la risposta monetaria e fiscale, che è stata perfino più aggressiva rispetto a WW2. È dunque comprensibile che in questi ultimi anni si sia guardato al 2019 come ultimo anno felice con il quale confrontarsi e al quale tendere nel processo di normalizzazione in corso. Nelle ultime settimane, ad esempio, Powell ha fatto continui riferimenti al mercato del lavoro del 2019.

In termini di Pil reale la normalizzazione è già avvenuta da tempo. Il Pil dell’Unione Europea è del 3 per cento superiore a quello del 2019, in America è più alto del 9 per cento e in Cina (il paese che viene spesso presentato come in grave crisi strutturale) l’economia è cresciuta del 24 per cento.

Sistemata la crescita, che ha in realtà sofferto solo nel 2020, si è trattato di normalizzare l’inflazione, il mercato del lavoro, la politica monetaria e la politica fiscale. Su alcuni di questi punti siamo abbastanza avanti, su altri siamo indietro.

Il contenimento dell’inflazione viene presentato come un grande successo. Non dobbiamo però dimenticare che, a pochi giorni dall’inizio ufficiale di un lungo ciclo di ribassi dei tassi (la Fed inizierà a tagliare il 18 settembre), l’inflazione core è ancora ben sopra il 2 per cento. Di solito, quando parte un ciclo di tagli dei tassi, l’inflazione è più bassa. Dobbiamo poi ricordare che la Cina sta aiutando l’inflazione globale a scendere sia per effetto della svalutazione del renminbi (che però da un mese è tornato a salire e che verosimilmente rimarrà in tendenza positiva) sia per il diverso modello di sviluppo che sta scegliendo di seguire. La Cina ha infatti abbastanza case e infrastrutture (perfino troppe) e ha accumulato grandi scorte di materie prime. Da qui in avanti si concentrerà su produzioni più avanzate, meno energivore e che richiederanno volumi più bassi di materie prime. Gli effetti sui corsi di queste ultime sono già visibili. Sono però, non dimentichiamolo, effetti una tantum.

Il mercato del lavoro, più che dai tassi elevati, è stato normalizzato dalla crescita fortissima dell’immigrazione, in particolare in Canada, Australia e Stati Uniti. L’immigrazione spiega perché vediamo nello stesso momento salire il tasso di disoccupazione e il numero dei posti di lavoro. Il mercato e la Fed sono pronti a fare drammi e a tagliare drasticamente se la creazione di nuovi posti di lavoro scenderà verso le 100mila unità al mese, ma questa era, fino al 2019, la quantità fisiologica per mantenere tutto in equilibrio.
La politica monetaria completerà la normalizzazione entro la fine dell’anno prossimo con un tasso terminale vicino al 3 per cento e il decennale che, dovendo includere un term premium, non sarà molto lontano dai livelli attuali. L’aumento del tasso terminale rispetto al mondo del 2019 è dovuto, tra l’altro, all’inflazione salariale, che si va stabilizzando un punto abbondante al di sopra di quella di allora.

La politica fiscale, dal canto suo, è in via di normalizzazione in Europa, ma non lo è affatto negli Stati Uniti. Nel 2019 il disavanzo pubblico federale fu del 4.6 per cento del Pil, mentre per tutto l’orizzonte prevedibile resterà molto più alto chiunque conquisti Casa Bianca e Congresso. E questa è un’altra ragione per cui i tassi d’interesse si stabilizzeranno su un livello più alto rispetto al 2019.

Tra gli ultimi a normalizzarsi sembrano essere i mercati finanziari. Nel 2022 tutte le notizie erano brutte (quelle che indicavano debolezza per ovvi motivi, quelle che indicavano forza perché avrebbero portato tassi ancora più alti). Nel 2023 e nel 2024 (fino a luglio) tutte le notizie sono state invece belle (quelle che indicavano forza per ovvi motivi, quelle che indicavano debolezza perché avvicinavano la discesa dei tassi). Da agosto siamo finalmente tornati in regime di normalità. La forza viene festeggiata e la debolezza provoca ribassi.

La normalizzazione dei mercati comporta il ritorno in auge delle strategie di risk parity. Bond e azioni tornano a essere inversamente correlati. Lunghi bond e lunghi azioni, dunque. Oppure corti bond e corti azioni.

Perennemente in ansia, il mercato chiede ora non solo normalizzazione, ma anche politiche apertamente espansive. Per ora, a dire il vero, non se ne sente molto il bisogno. La debolezza è concentrata nel manifatturiero, che emigra verso l’Asia nonostante le sanzioni e nonostante le politiche industriali occidentali di sostegno. I servizi, che costituiscono i due terzi del Pil, rimangono però stabili e forti.

La cautela delle borse e dei bond non sembra dunque dovuta a un improvviso deterioramento del quadro macro, ma ai livelli elevati già raggiunti, che scontano già una buona parte dei tagli dei tassi e dei maggiori utili del 2025. Il grande bull market iniziato nell’estate del 2022 lascia il posto, dopo due anni, a una tendenza più laterale, ma ancora costruttiva.

Anche questa è normalizzazione.

Ultimi Numeri

12 Dicembre 2024
05 Dicembre 2024
28 Novembre 2024
21 Novembre 2024
14 Novembre 2024
Al Quarto Piano con Alessandro Fagnoli


ARCHIVIO

2024

Alessandro Fugnoli

IL NUOVO
MAGAZINE DIGITALE DI KAIROS
E’ ONLINE