rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

STAMPEDE

È finita la carica dei tori, ma il rialzo può continuare

In Balla coi lupi, Kevin Costner, giovane tenente che esplora la frontiera occidentale del Dakota (siamo nel 1863), sente tremare la capanna in cui ha trovato rifugio. Il silenzio della prateria è poi rotto da un rumore cupo e lontano che si fa gradualmente frastuono. Non è un terremoto, bensì una stampede, una lunga corsa al galoppo di decine di migliaia di bisonti che per giorni e giorni travolgono tutto quello che incontrano. Un grandioso fenomeno naturale.

In Balla coi lupi, Kevin Costner, giovane tenente che esplora la frontiera occidentale del Dakota (siamo nel 1863), sente tremare la capanna in cui ha trovato rifugio. Il silenzio della prateria è poi rotto da un rumore cupo e lontano che si fa gradualmente frastuono. Non è un terremoto, bensì una stampede, una lunga corsa al galoppo di decine di migliaia di bisonti che per giorni e giorni travolgono tutto quello che incontrano. Un grandioso fenomeno naturale.

Oggi il bisonte americano è a rischio di estinzione, ma in quell’epoca una sessantina di milioni di capi popolavano le Grandi Pianure insieme a 4 milioni di nativi, chiamati dai bianchi Indiani o Pellirosse. Le stampede erano un fenomeno ricorrente e i mandriani americani, i cow boys, dovettero ben presto imparare ad arginarle e governarle, facendole ruotare su se stesse in cerchi sempre più piccoli. Per fare cambiare direzione agli animali bisognava spaventarli, sparando in aria colpi di fucile.

La stampede dei tori su bond e azioni delle scorse cinque settimane ha avuto bisogno, per perdere velocità, dei colpi di fucile del petrolio sotto i 70 dollari, che ha fatto riflettere l’azionario sulle possibilità di un rallentamento economico un po’ troppo marcato, e della preannunciata accelerazione della svolta monetaria giapponese, che a piccoli passi sposta verso l’alto la curva dei tassi mentre il resto del mondo la sposta verso il basso.

Questi due colpi di fucile sono però fenomeni idiosincratici, ovvero rondini che non fanno necessariamente primavera. Il petrolio debole non è dovuto a un calo della domanda globale, ma a una crescita dell’offerta da parte del primo produttore mondiale, gli Stati Uniti, e da una grande quantità di posizioni al ribasso di natura speculativa.

Quanto al Giappone, si tratta di un caso molto interessante di un paese che ha rifiutato la reflazione aggressiva di Europa e America nel 2020-21 (e infatti non ha avuto inflazione fino alla fine del 2022) e ha invece reflazionato per conto suo nel 2022, con l’inflazione arrivata puntuale nel 2023. Dicevamo che il caso giapponese è interessante perché, in un momento in cui Europa e America cercano di archiviare l’ondata inflazionistica degli anni scorsi come dovuta esclusivamente a problemi di offerta (e non, anche, a eccessi di stimolo fiscale e monetario), il Giappone falsifica questa tesi. È stato infatti sottoposto alle stesse strozzature di offerta che abbiamo subito noi senza avere inflazione e ha visto aumenti sostenuti dei suoi prezzi solo quando ha reflazionato mentre noi cominciavamo a frenare.

A parte i due colpi di fucile, la corsa di bond e azioni delle ultime settimane ha dalla sua solide ragioni. Il quadro politico si è fatto un po’ meno minaccioso, l’inflazione è scesa in una misura finalmente convincente, la crescita surriscaldata americana del terzo trimestre ha ora assunto una velocità perfetta (tra l’1 e il 2 per cento annualizzato nelle varie versioni dei nowcast delle Fed di Atlanta e di New York) e il petrolio è tornato a scendere. Le banche centrali, dal canto loro, hanno effettuato in poche settimane uno spettacolare doppio pivot, prima da restrittive a neutrali e poi da neutrali a implicitamente espansive.

Fed e Bce hanno infatti fornito ai mercati una guidance che formalmente rimane volta soprattutto al contenimento dell’inflazione, ma che in realtà le mostra sempre più attente a prevenire una recessione anche moderata.

A questo punto, dall’alto dei nuovi livelli raggiunti dopo il grande recupero di queste settimane, i mercati si devono chiedere se quella che stanno guardando è solo una bella istantanea di un mondo che si sta riavvicinando a una condizione di equilibrio duraturo o se questa istantanea è parte di un film che inizia con il surriscaldamento e finisce l’anno prossimo con il freddo (l’atterraggio duro) o che ritorna al surriscaldamento dopo la breve pausa in corso (il no landing, ovvero l’aereo che sfiora la pista di atterraggio con il carrello e poi riparte subito, con il rischio di alimentare il fuoco dell’inflazione ancora non spento).

Se lo scenario di base adottato dal mercato, quello dell’atterraggio morbido, pare condivisibile e se il grande recupero è certamente giustificato, non per questo è opportuno scommettere tutto su una prosecuzione lineare del rialzo, ignorando gli scenari di coda che abbiamo descritto sopra. Prezzare la perfezione come stiamo facendo, in altre parole, espone al rischio di delusioni.

I rischi, infatti, sono ancora fra noi. Gli ampi disavanzi fiscali di quest’anno saranno ridotti l’anno prossimo dalla ripresa dell’afflusso di imposte sui capital gain nelle casse pubbliche, ma saranno ancora strutturalmente ampi. Per finanziarli, grandi e frequenti collocamenti di titoli di debito pubblico si renderanno necessari. Ogni settimana, in pratica, i mercati dovranno affrontare aste impegnative che testeranno la loro disponibilità a riempirsi non solo di succosi titoli brevi, ma anche di bond lunghi a rendimenti decrescenti.

L’azionario, dal canto suo, non potrà limitarsi a espandere multipli che, mediamente, sono già piuttosto elevati. A un certo punto, per alimentare il rialzo, sarà anche necessaria una ripresa degli utili, non così facile in un’Europa in semistagnazione e in un’America in rallentamento.

Volendo provare a tracciare un percorso, gennaio si profila, come spesso accade, come un mese di distribuzione, in cui i valori restano alti grazie al grande numero di compratori su ribasso che assorbono i realizzi degli istituzionali. Dopo gennaio il mercato dovrà fare i conti con il rischio che le banche centrali non taglino i tassi così velocemente. Nella seconda metà del 2024, tuttavia, quando i tagli cominceranno ad arrivare sul serio, l’andamento dei mercati dovrebbe farsi di nuovo positivo.

La stampede è verosimilmente finita. In compenso, alla fine dell’anno prossimo bond e azioni saranno comunque su livelli più alti, con l’azionario su nuovi massimi.

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