Diceva Boezio che nella vita non esiste una via media. O si tende verso il divino o si cade nel bestiale.
Diceva Boezio che nella vita non esiste una via media. O si tende verso il divino o si cade nel bestiale.
Nella lotta quotidiana tra rialzisti e ribassisti, gli uni e gli altri tendono a enfatizzare le loro opinioni, che diventano spesso estreme. O tutto è meraviglioso, con l’intelligenza artificiale che risolverà per sempre ogni problema. Oppure tutto è orrore e disgregazione, con l’intelligenza artificiale che accelererà la rovina.
Negli ultimi giorni abbiamo assistito al passaggio repentino da una visione cosmica apocalittica (popolata da tassi verso il 7 per cento, bond in caduta libera, recessione inevitabile e imminente, disavanzi pubblici fuori controllo e petrolio avviato verso nuovi massimi) a una visione cosmica di incrollabile fiducia in un futuro di crescita buona e stabile, di banche centrali più che pronte a tagliare i tassi in tempi brevi, di inflazione moderata e di bond da comprare come grande occasione della vita.
A segnare la svolta è stato un singolo dato, quello sull’occupazione negli Stai Uniti, fin troppo bello per essere vero (e infatti, a ben guardarlo, meno trionfale di quanto non appaia, soprattutto per la grande presenza di lavori a tempo parziale e il calo continuo di quelli a tempo pieno).
Questo dato, con la sua inflazione salariale modesta, ha avuto un effetto dirompente su un mercato molto sbilanciato costringendolo ad avviare un forte recupero e ad adottare una narrazione ultra ottimista nonostante nel frattempo fosse iniziato un nuovo incendio geopolitico in un’area esplosiva come il Medio Oriente.
Suonerà probabilmente noioso, ma a guardare le cose con un po’ di senso della prospettiva si può vedere, spalancata davanti a noi, un’enorme via media tra queste visioni opposte.
C’è un’economia americana in cui circola ancora una parte dell’enorme quantità di adrenalina che le è stata somministrata nei tre anni passati, anche perché riceve tuttora infusioni continue dall’ampio deficit federale.
Dall’altra parte c’è una Federal Reserve che forse ha finito di alzare i tassi, ma che ha comunque tutta l’intenzione di continuare sulla strada del Quantitative tightening per altri 6-9 mesi. Il mercato non parla molto di Qt, che è costruito in modo da essere silenzioso e invisibile, e concentra la sua attenzione quotidiana sulle dispute tra i falchi e le colombe del Fomc rispetto ai tassi ufficiali di policy. Le cose silenziose e a lungo trascurate, tuttavia, hanno la capacità di erompere all’improvviso, tutte in una volta, nei prezzi e nella narrazione del mercato.
È stato esattamente così per la politica fiscale, che il mercato discute raramente e in termini generici, salvo poi scoprirne l’importanza, come nelle settimane passate, tanto da costringerlo ad effettuare un drastico repricing di bond e azioni.
Il Quantitative tightening, giova ricordarlo, provocherà nei prossimi 6-9 mesi un rialzo dei tassi percepiti di 40-65 punti base rispetto ai livelli attuali. Questo accadrà perché la Fed, riducendo la quantità di titoli governativi nel suo portafoglio (lasciandoli scadere e non rinnovandoli), costringerà il mercato a sottoscrivere al suo posto la grande massa di titoli che il Tesoro dovrà continuare a emettere senza sosta nei prossimi mesi (e anni).
Anche per un’economia robusta e sana come è quella americana in questo momento, l’ulteriore effetto restrittivo del Qt non sarà trascurabile. Ci sarà dunque un rallentamento della crescita, che manterrà il segno positivo ma sarà per un paio di trimestri poco brillante.
Insomma, la prognosi è favorevole, ma la cura non è terminata. Per i bond lunghi si apre una fase di stabilizzazione tra il 4.5 e il 5 per cento. Chi ha parlato di livelli più alti avrà forse ragione nel prossimo ciclo qualora l’inflazione dovesse ripartire da una base del 3 per cento, ma per questo ciclo, con l’inflazione ancora in (faticosa) discesa non c’è ragione di superare il 5.
I bond lunghi, per gli impazienti che temono di perdere il loro grande rialzo, possono essere comprati anche subito (ma solo come trading di breve periodo) oppure accumulati gradualmente nei prossimi mesi.
Per l’azionario la stabilizzazione dei bond lunghi e quella degli utili bilanceranno il modesto rallentamento della crescita dell’economia. Se non ci saranno incidenti di percorso il 2023 potrà concludersi con borse in recupero. Dobbiamo però entrare nell’ordine di idee per cui i movimenti saranno molto più contenuti di quelli che abbiamo visto negli ultimi anni.
Concludiamo con qualche breve osservazione sui rischi geopolitici. Quello che preoccupa il mercato è che Israele attacchi le centrali nucleari iraniane e che l’Iran risponda bloccando le petroliere che passano attraverso lo stretto di Hormuz e spingendo Hezbollah a invadere la Galilea.
È un rischio di coda. L’Iran è stato infatti finora molto attento a non lasciare in giro pistole fumanti. L’amministrazione Biden, dal canto suo, ha bisogno di tutto fuorché di un forte aumento del prezzo del petrolio. Per questo cercherà di convincere Israele a non allargare senza necessità il conflitto. Anche le sanzioni contro il petrolio iraniano saranno verosimilmente di basso profilo.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist del Gruppo e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.