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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

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Meno tasse, più spese, più consumi, più leva e più crescita per tutti

La Grande Crisi Finanziaria del 2008 portò a una sorta di nazionalizzazione del debito. Si salvarono le banche, debitrici fragili, trasferendo i loro debiti sulle spalle larghe degli stati. Brillante operazione, si pensò. Gli stati sono inattaccabili dalla speculazione, che può invece fare crollare una banca in poche ore se si diffonde la sfiducia nella sua solvibilità. Ora staremo più tranquilli.

La Grande Crisi Finanziaria del 2008 portò a una sorta di nazionalizzazione del debito. Si salvarono le banche, debitrici fragili, trasferendo i loro debiti sulle spalle larghe degli stati. Brillante operazione, si pensò. Gli stati sono inattaccabili dalla speculazione, che può invece fare crollare una banca in poche ore se si diffonde la sfiducia nella sua solvibilità. Ora staremo più tranquilli.

Si provò anche a praticare un po’ di austerità, negli anni successivi. Il debito pubblico, anche per effetto dei salvataggi, si era ingrossato e a lungo andare sarebbe diventato anch’esso insostenibile.

L’austerità e la bassa crescita crearono però una crisi di consenso nelle società occidentali. Si diffusero nuovi movimenti alternativi che chiedevano crescita. Le forze mainstream abbandonarono allora l’austerità e rincorsero i movimenti alternativi abbracciando politiche di spesa, razionalizzate come transizione energetica prima e riarmo più tardi.

Arrivarono poi i dazi di Trump, che offrirono al mondo un nuovo motivo per spendere, in modo da compensare gli effetti depressivi delle minori esportazioni.

Spendi oggi e spendi domani, anche il debito degli stati iniziò ad apparire non solo insostenibile in un lontano e indefinito futuro, ma anche difficile da finanziare nel presente delle aste dei titoli governativi, una volta seguite solo dagli addetti ai lavori e oggi, in particolare in America, oggetto d’interesse e di apprensione da parte dei governi, dei mercati e dell’opinione pubblica.

Siamo ora arrivati all’ultimo stadio della normalità, quello in cui si prova a fare correre le economie il più possibile per contenere il rapporto tra debito e Pil. Si potrebbero in teoria alzare le tasse e tagliare le spese, ma gli elettori non lo perdonerebbero.

È una manovra rischiosa, ovviamente. Si cura un corpo infiammato con il calore, ma non dobbiamo dimenticare che era rischioso anche (e forse perfino di più) curare il corpo debole delle economie avvizzite del decennio scorso con i salassi dell’austerità.

Ecco allora che gli obiettivi di spesa e di crescita si fanno ogni giorno più ambiziosi.

In Germania, dopo il piano decennale di un trilione per difesa e infrastrutture, si decidono tagli delle tasse per 47 miliardi.

I paesi Nato decidono di portare le spese per la difesa dall’1.5 attuale al 5 per cento del Pil nel 2035. Considerando i margini risicati di consenso di cui godono i governi in carica, è difficile pensare che la spesa aggiuntiva verrà compensata da tagli nella spesa per settori cui il pubblico tiene molto, come sanità o pensioni. Avremo quindi, ovunque in Occidente, più spesa e più debito.

Il primo ministro Li Qiang, dal canto suo, annuncia che la Cina, oltre a essere il centro manifatturiero del mondo, diventerà una grande potenza nei consumi. In Cina affermazioni di questo tipo non si fanno alla leggera. Ogni parola viene pesata.

Infine, l’America di Trump, abbandonati il Doge e i progetti di tagli alla spesa, mantiene i disavanzi elevati di Biden. Quanto all’ultimo baluardo di contenimento degli eccessi espansivi, la politica monetaria della Fed (moderatamente restrittiva, nella definizione di Powell), le ore sono contate. Da una parte Trump si appresta a nominare con largo anticipo Waller o Warsh come prossimo governatore. Waller, ricordiamo, è pronto a fare 6-7 tagli dei tassi da qui alla fine del 2026, cominciando già il luglio.

Dall’altra parte, la riforma delle regole di capitalizzazione e dei limiti di leva delle banche americane, fortemente voluta da Bessent, è in dirittura d’arrivo e fra un paio di mesi potrebbe già essere operativa. È una contro-Basilea che aumenta lo spazio di leva delle banche, che potranno comprare più Treasuries ed erogare più crediti al settore privato (un fenomeno che stiamo cominciando a vedere anche in Europa per effetto del risanamento dei bilanci bancari). L’aumento della leva delle banche avrà in pratica gli stessi effetti del Quantitative easing senza attrarre tutta l’attenzione e le critiche come il Qe ha sempre fatto e senza dipendere troppo dalla Fed e dalle sue decisioni mese per mese.

Rassicurate dalla direzione decisamente espansiva delle politiche monetarie e fiscali, le borse sui massimi storici derubricano i dazi e la svalutazione del dollaro a gioco internazionale a somma zero (in realtà a somma positiva, considerate le misure compensative di stimolo). Derubricano anche le ansie su una Fed ridotta a ufficio del Tesoro e dell’amministrazione. Waller e Warsh sono figure autorevoli e Waller, in particolare, argomenta la sua disponibilità verso tagli consistenti dai tassi sulla base della Taylor rule.

Quanto ai bond, fin dall’inizio l’anello debole (riconosciuto come tale) della strategia trumpiana, questo può non essere il loro mondo ideale, ma l’aumento della leva per le banche, l’inflazione finora accettabile e lo spazio per i tagli di policy sono elementi importanti di supporto.

Della fuga dall’America dei mesi scorsi resta (e probabilmente resterà ancora per qualche tempo) la sola fuga dal dollaro. La fuga dalla borsa americana si è arrestata. Si manterrà, nei prossimi anni, una graduale redistribuzione dell’allocazione strutturale dei portafogli verso il resto del mondo, ma se la grande tecnologia americana riuscirà a mantenere i suoi livelli di crescita e di innovazione la borsa americana rimarrà molto competitiva rispetto alle altre.

Le borse europee hanno corso molto in questi mesi, trainate da un’accelerazione della crescita che avverrà in realtà a partire dall’anno prossimo. Si sono mosse dunque in anticipo e ora sono in fase di consolidamento. Noi le vediamo sotto i massimi, ma un investitore americano, grazie alla forza dell’euro, le vede in dollari su livelli tali da indurlo a prendere qualche temporaneo profitto per andare a cogliere le opportunità che gli si presentano sul mercato domestico.

Continueremo a vedere rotazioni in un trend azionario complessivamente orientato al rialzo.

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