Da inizio anno Piazza Affari ha recuperato circa la metà di quanto perso nel corso del 2018. Quali le ragioni di questo rally?
Il recupero è stato piuttosto intenso a gennaio e ha coinvolto sia gli Stati Uniti che l’Europa e il Giappone, ma si è potuto notare in modo nitido anche in Italia perché il nostro listino ha un beta (coefficiente di variazione rispetto all’indice mondiale) alto, vista la significativa concentrazione settoriale che lo contraddistingue.
Un movimento che ha permesso soprattutto ai titoli particolarmente penalizzati a dicembre di riprendersi dai minimi: tra questi ci sono i titoli ciclici.
A febbraio è stata la volta del lusso con il suo reporting positivo, che ha indotto una corsa al recupero su questi titoli, di cui il sistema era scarico. Infatti, nell’ultima parte dell’anno i timori sul rallentamento cinese, ai quali si sono aggiunti i tumulti francesi che hanno portato alla chiusura delle boutique nell’importante periodo natalizio, avevano provocato vendite generalizzate sul settore, salvo poi essere smentiti dai numeri e dalle prospettive comunicati dalle aziende stesse.
In questo contesto, ci sono segnali che facciano pensare che si possa tornare a puntare con successo sull’analisi fondamentale per individuare dove c’è valore inespresso?
«Riteniamo che i tempi siano maturi per un ritorno alla centralità dell’analisi fondamentale grazie alla normalizzazione dei tassi di interesse.»
Infatti, i tassi di interesse a zero avevano creato una distorsione nel mercato, in quanto la disponibilità illimitata di denaro permetteva ad aziende che bruciavano cassa di sopravvivere e anzi di diventare leader strozzando i competitor, rendendo complicato il lavoro fondamentale i cui principi si basano sull’individuazione di aziende sane e proprio sulla capacità di generazione di cassa, vera fonte di creazione di valore.
A proposito della Borsa italiana, in quali settori si annidano le migliori opportunità di investimento in termini di sottovalutazione?
Non parlerei di settori quanto di caratteristiche specifiche. Riteniamo che il “made in Italy”, espressione dell’economia italiana più genuina e apprezzata nel mondo, frutto dell’imprenditorialità sana del nostro Paese che ha saputo difendersi e, spesso, anche conquistare quote di mercato all’estero anche quando il cambio valutario non era favorevole e il PIL in Italia non cresceva, costituisca l’identikit ideale. Aziende, di solito di piccole e medie dimensioni, manifestazione tangibile dei distretti industriali e della moda, contraddistinte da prodotti di elevato standing qualitativo e buona competitività.
Intervista a Massimo Trabattoni, Head of Italian Equity.