“Deboli, Big Misssssssssss!!”
Venerdì, ore 14.30, sala operativa, il suono inconfondibile della voce di Andrea che arriva forte e diretta come una sveglia a scuotermi dal portafoglio che stavo analizzando: i dati sull’occupazione americana, i Non Farm Payrolls.
Con un riflesso Pavloniano le mani spostano il cursore sullo schermo dedicato a Bloomberg e digito WECO: mentre il comando rimanda ai dati economici mondiali in real time giro istintivamente la testa verso sinistra per cercare lo sguardo di Andrea e decidere in una frazione di secondo se e come tradurre quel dato, in una operazione di mercato: 266k vs 1000k.
Alla mia sinistra però c’è una postazione vuota e un muro: vedo invece Andrea 10 metri più avanti mentre, con la mascherina tutta storta sul viso, fissa gli schermi con la postura classica e la tensione elastica dell’atleta che sta per partire dai blocchi o il tiratore scelto che sta per premere il grilletto.
266k contro 1000k stimati, un mezzo disastro: un gap così ampio tra dato effettivo e stimato faccio fatica a ricordarlo… eppure, eppure qualcosa non torna.
Per un secondo la mente vacilla, confusa in una sorta di ossimoro visivo/verbale dove la mascherina lontana del collega mi ricorda prepotentemente che siamo in piena pandemia, ma le parole rimandano a abitudini consolidate e quasi confortanti in cui il primo che in sala operativa vede un dato importante, lo urla a beneficio di tutti per guadagnare quei pochi secondi che possono esser vitali nella reazione dei mercati.
Appunto, i mercati, i dati macro e il Covid: la sensazione di sorpresa e smarrimento nasce proprio dal mix mal assortito di questi tre fattori. Sono mesi e mesi infatti che praticamente nessuno guarda più i dati macro: siamo nel mezzo di una pandemia, che senso ha guardare vuote statistiche totalmente distorte dagli effetti dei vari lockdown in giro per il mondo?
Eppure c’è qualcosa di diverso, quasi inafferrabile ma concreto, tangibile: è la prima volta forse dopo tanto tempo che gli operatori e i grandi trader hanno fiutato che è tempo di tornare a guardare i numeri macro, nello specifico i dati sull’occupazione perché son quelli che guarderà la Fed nelle prossime settimane/mesi per decidere se e quando iniziare a ridurre lo stimolo e il supporto monetario.
“Compriamo!!! ” sento la mia stessa voce rimbombare all’interno della mascherina e vedo Andrea che con un occhio mi guarda mentre con l’altro segue la mano nell’atto di digitare sulla tastiera; ovviamente non lo stavo dicendo a lui che, invece più lucido, veloce e reattivo di me, aveva già passato nella manciata di secondi che mi sono serviti per riprendermi dal disorientamento iniziale, una impressionante serie di ordini in acquisto.
“Compriamo” lo stavo dicendo a me stesso come per scandire la fine di un lunghissimo incubo. La novità non è nella direzione, anzi negli ultimi mesi abbiamo comprato tantissimo, a cominciare da quelle maledette giornate di fine marzo 2020. La novità invece è nel nesso causale: non stiamo più comprando perché i prezzi sono crollati o perché è arrivata la cavalleria delle Banche Centrali e degli aiuti fiscali; questa volta non abbiamo comprato “scommettendo” sui vaccini o sull’amministrazione Biden. Stiamo comprando dopo esser tornati a guadare dei dati economici, siamo finalmente tornati a leggere i dati e ad interpretarli nuovamente secondo le logiche del mondo post Quantitative Easing, ovvero che i dati macro brutti vanno comprati, perché allontanano la paura di un rallentamento dello stimolo.
Ma soprattutto stiamo comprando una preziosa idea di normalità.