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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

RITUALI DI ESPIAZIONE

È una correzione, ma con una punta di disagio

Senza pensare nemmeno lontanamente ai mercati finanziari, René Girard, originalissimo antropologo e filosofo, ha studiato per una vita i meccanismi fondamentali delle società umane e ci ha fornito due importanti categorie interpretative.

Senza pensare nemmeno lontanamente ai mercati finanziari, René Girard, originalissimo antropologo e filosofo, ha studiato per una vita i meccanismi fondamentali delle società umane e ci ha fornito due importanti categorie interpretative.

La prima è quella della mimesi. La nostra vita trascorre nell’impulso a imitare gli altri, a volere anche noi quello che gli altri desiderano, a seguire coloro che eleggiamo a modelli e a contro-imitare, facendo l’opposto, quelli che eleggiamo a modelli negativi. Le mode e le bolle finanziarie sono un esempio di comportamento imitativo. Le crisi di panico che generano i crash lo sono ancora di più.

La seconda categoria girardiana è quella della pulsione basica all’espiazione come mezzo per ristabilire un equilibrio perduto. L’omeostasi, cioè la capacità di ritornare alla condizione di base dopo eventi traumatici, non esiste solo per i corpi, ma anche per gli stati mentali e per gli organismi sociali. Per gli ultimi due è richiesto però un rituale di espiazione che tipicamente, a livello collettivo, richiede un capro espiatorio da sacrificare. Per ritrovare la pace bisogna sacrificare qualcosa, per avere bisogna dare. Sul capro espiatorio viene scaricata tutta la tensione e la violenza accumulata e questa è ancora più forte se a essere sacrificato (ucciso o ostracizzato) è qualcuno o qualcosa che abbiamo amato, che oggi odiamo e che un giorno, nel ricordo, ritorneremo probabilmente a rispettare.

Le correzioni, nei corsi di borsa, sono, a differenza dei crash, un periodico rituale di espiazione a bassa intensità emotiva. Non parliamo qui dei repricing causati da reali cambiamenti dello scenario sottostante, che sono la ragion d’essere dei mercati, ma di quei sacrifici agli dei che sono le correzioni (generalmente autunnali) che tutti consideriamo un prezzo necessario, una tassa da pagare, per potere riprendere a vivere normalmente.
Di queste correzioni esiste un tariffario, come per le indulgenze tardomedievali. Ci sono le correzioni da 5, 7, 10 o 20 punti percentuali. Toccato uno di questi punti magici (la sfida è anticipare quello giusto) tutti ci sentiamo sollevati e ritorniamo a comperare.

La correzione è un meccanismo fisiologico, ci diciamo, è un purgante che disintossica e che va vissuto come una medicina. Quando una correzione tarda ad arrivare iniziano a levarsi voci ammonitrici, prima isolate e poi via via più corali e perentorie, che la esigono e la invocano. Non importa se nulla è cambiato al contorno e non importa nemmeno se tutti siamo convinti che, passata la correzione, il mercato salirà ancora più in alto. Non importa perché la correzione è esattamente la precondizione perché il mercato salga ancora di più.

La correzione dei giorni scorsi è stata del 5 per cento. Se ci è sembrata tosta è perché in questo rialzo regolare e inesorabile che dura da più di un anno ci siamo abituati a chiamare correzioni anche discese dell’uno per cento. In realtà si è trattato di un fenomeno benigno, prontamente seguito da un recupero.

Tutto qui, dunque? No, c’è dell’altro. Questa volta si è avvertita anche una punta di disagio autentica sulla realtà sottostante che potrebbe perdurare ancora qualche settimana. Luglio e agosto sono stati mesi deludenti sul piano della crescita, in particolare in America e in Asia. Settembre è partito meglio, ma gli effetti della variante delta non sono venuti meno del tutto. Sono effetti psicologici che limitano la propensione al consumo e sono anche effetti pratici, come le strozzature sul lato dell’offerta, soprattutto in Asia.

L’inflazione è sembrata attenuarsi in America, ma a livello globale c’è del fuoco che cova sotto la cenere. I forti rialzi del prezzo del gas possono anche avere ragioni specifiche, ma ci ricordano che un mondo che ha smesso bruscamente di investire in energie fossili senza avere altrettanto velocemente approntato fonti alternative rimarrà vulnerabile a rincari per tutto il prossimo decennio. Senza contare che i rincari dell’energia possono avere effetti sorprendenti sui settori industriali che ne consumano di più, come si è già visto con i drastici tagli alla produzione di fertilizzanti (che causeranno a valle rincari negli alimentari) per effetto del rialzo del gas.

Ci sono poi da seguire le vicende americane. C’è il percorso accidentato del pacchetto fiscale da 3.5 trilioni (quello più piccolo e bipartisan verrà approvato senza problemi) e c’è la questione del tetto all’indebitamento. Qui i problemi non insorgeranno tanto dalla drammatizzazione del dibattito (tutti sappiamo che alla fine il tetto verrà innalzato) quanto dalla valanga di emissioni che il Tesoro lancerà non appena avrà l’autorizzazione dal Congresso. Questa valanga, proprio mentre la Fed si avvia a un tapering senza se e senza ma, potrà portare a qualche tensione lungo quasi tutta la curva.

Sono tutti problemi che il mercato supererà se, come pensiamo, la crescita si manterrà buona e riaccelererà con l’affievolirsi della variante delta. La correzione dei giorni scorsi, tuttavia, potrebbe essere, a differenza delle correzioni veloci degli ultimi mesi, l’inizio di una fase di assestamento laterale di qualche settimana.

Va poi registrata una certa dispersione nelle considerazioni sulla natura di questa fase. Mentre la maggior parte degli analisti raccomanda di non esitare a comprare in caso di correzione del 10 per cento, Michael Wilson di Morgan Stanley ritiene possibile una correzione del 20 per cento. Wilson prefigura una tipica crisi da metà ciclo, come quelle che abbiamo visto negli ultimi tre cicli quando la politica monetaria è passata da espansiva a moderatamente restrittiva.

I tre cicli passati sono durati ognuno un decennio (otto-nove anni di crescita e uno di recessione) e le crisi di metà ciclo sono arrivate al quarto o quinto anno. È verissimo che questo è un ciclo che procede a tappe forzate sotto le fruste monetarie e fiscali. È quindi vero che questo ciclo potrebbe essere più breve, perché la candela che fa più luce brucia più in fretta. Ritenere però che la crisi di metà ciclo si già alle viste dopo solo 15 mesi di espansione sembra eccessivo. Il 2023, che vedrà i rialzi dei tassi di policy americani raggiungere una certa massa critica, parrebbe più indicato.

Operativamente, a parte qualche modesto alleggerimento sulla parte lunga della curva quando sarà approvato l’innalzamento del debt ceiling, suggeriamo di mantenere le posizioni azionarie (con un modesto sovrappeso dei ciclici) e, in caso di eventuali nuovi vuoti d’aria, di comperare call su fine anno.

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