Se il momento appare complicato e confuso non è il caso di farsene troppo una colpa. È complicato e confuso anche per la Fed, come ha dimostrato ieri un Powell opaco e sfuggente a capo di un Fomc diviso sulla tattica e, viene da pensare, anche sulla strategia.
Se il momento appare complicato e confuso non è il caso di farsene troppo una colpa. È complicato e confuso anche per la Fed, come ha dimostrato ieri un Powell opaco e sfuggente a capo di un Fomc diviso sulla tattica e, viene da pensare, anche sulla strategia.
La situazione è oggettivamente complessa. C’è una ripresa tumultuosa che segue la più grave recessione del dopoguerra. C’è un’inflazione che, per quanto depurata dalle componenti transitorie, si assesterà l’anno prossimo (il secondo anno di ripresa) su un livello più alto di quello che aveva raggiunto al decimo anno del ciclo precedente. C’è un mercato del lavoro di difficile lettura con un ancora elevato numero di disoccupati da una parte e tensioni salariali già evidenti dall’altra. Ci sono mercati azionari su livelli molto elevati di cui tenere conto, perché potrebbero complicare molto la ripresa dell’economia se dovessero prendere male qualsiasi misura di normalizzazione monetaria.
Tutto questo basterebbe già da solo a rendere difficile comprendere e governare le cose, ma c’è dell’altro. Trump a Mar-a-Lago è un Napoleone all’isola d’Elba che prepara il ritorno in terra di Francia. Se non sarà Trump, sarà il governatore della Florida Ron DeSantis, un politico astuto che rende omaggio formale a Trump ma sa pensare con la sua testa e che gode di un forte consenso nell’elettorato repubblicano.
I democratici, dal canto loro, hanno una maggioranza risicata alla camera bassa (che potrebbero perdere l’anno prossimo) e una situazione difficile al Senato, dove due loro senatori di stati centristi, Manchin e Sinema, rischiano la fine della loro carriera politica se votano a favore del piano fiscale di Biden, quello che contiene tutti i punti qualificanti del suo programma.
L’amministrazione, con un occhio all’orologio e ai mesi che passano, deve quindi continuare a spingere al massimo sulla politica monetaria. Lo fa attraverso la Yellen al Tesoro. La Yellen, lo ricordiamo, è un’economista del lavoro ed è particolarmente sensibile alla disoccupazione, in particolare tra le minoranze, mentre è meno sensibile all’altro polo del mandato duale della Fed, l’inflazione.
La Yellen sarà decisiva nel convincere Biden, all’inizio dell’anno prossimo, a riconfermare Powell alla guida della Fed oppure, nel caso Powell mostrasse qualche segno di non perfetto allineamento, a sostituirlo con l’ultracolomba Brainard.
Con questa lettura politica, possiamo essere relativamente sicuri che il vertice del Fomc non terrà conto delle voci di dissenso interne e continuerà a mantenere il piede premuto sull’acceleratore qualunque sia il livello di crescita e qualunque sia il livello di inflazione. Certo, nei momenti in cui inflazione e crescita appariranno particolarmente forti bisognerà dare qualche piccola soddisfazione al mercato, magari anticipando le discussioni (non la decisione, si badi) su quando iniziare a ridurre gli acquisti di titoli. Concessioni simboliche e irrilevanti che non metteranno in discussione l’impostazione generale ultraespansiva.
Un treno che viaggia oltre la velocità consigliata rischia prima o poi di deragliare nel momento in cui il percorso si fa più accidentato. Sia chiaro, siamo ancora lontani da quel momento, ma non lontanissimi. L’output gap verrà chiuso già alla fine di quest’anno e sia Powell sia la Yellen ritengono che nel 2022 l’America sarà di nuovo in una condizione di pieno impiego. Se la politica monetaria, che agisce con un ritardo di 12-18 mesi dal momento in cui vengono trasmessi gli impulsi, inizierà a normalizzarsi solo nel 2023-24 (fine degli acquisti di titoli e avvio del ciclo di rialzo dei tassi) il rischio di surriscaldamento sarà serio.
Il mercato, questo rischio, lo tiene in considerazione, come è dimostrato dalla buona accoglienza dei dati economici deludenti. Il fatto che i titoli obbligazionari vadano a ruba a questi tassi così bassi non è dovuto a una grande fiducia nel corso ordinato e non inflazionistico della ripresa, ma all’incredibile quantità di liquidità che vaga in questo momento per il sistema. Questa liquidità è così ampia che nessuno sa che farsene, con le banche che la respingono e con la Fed che a fine giornata deve prosciugarla con i reverse-repo, arrivati in questi giorni a mezzo trilione di controvalore.
Tirando le somme, nelle prossime settimane continueranno i mal di pancia della Fed (costretta a correre a perdifiato anche se non del tutto convinta) e ci sarà un po’ più di volatilità nelle borse (una previsione facile visti i livelli raggiunti). La sostanza però non cambia, anzi. Finché siamo in fase di convalescenza accelerata l’azionario andrà bene e l’obbligazionario non avrà di che lamentarsi. Restare investiti in questa fase non presenta problemi.
Sarà quando saremo guariti e cominceremo a sentirci fin troppo bene grazie agli stimoli che continueranno a scorrere abbondanti nel corpo dell’economia che dovremo cominciare a porci dei dubbi e a ridurre prudenzialmente l’esposizione. Per adesso godiamoci il rialzo.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist del Gruppo e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.