rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

IL MURO

La Fed prova a fermare il rialzo delle borse. Per quanto?

Siamo tutti abituati a parlare della Fed come si trattasse di un’istituzione dotata di una volontà unica. In realtà il Fomc, ovvero il comitato della Fed che decide la politica monetaria, è fatto da democratici e repubblicani, falchi e colombe, keynesiani e monetaristi, accademici e manager.

Siamo tutti abituati a parlare della Fed come si trattasse di un’istituzione dotata di una volontà unica. In realtà il Fomc, ovvero il comitato della Fed che decide la politica monetaria, è fatto da democratici e repubblicani, falchi e colombe, keynesiani e monetaristi, accademici e manager.

Le decisioni sono prese dopo lunghe consultazioni tra fazioni che cercano di influenzare l’esito finale orientando i media e i mercati nelle settimane che precedono le riunioni formali. Lo spoil system ha un ruolo contenuto, la majority rule è temperata dallo spazio lasciato al dissenso e le maggioranze non sono rigide e predefinite.

Il risultato è che le decisioni finali tendono a riflettere il tentativo di bilanciare le opinioni divergenti, concedendo qualcosa alle diverse posizioni e cercando il più possibile di non cristallizzare forme di dissenso permanente.

La ricerca del bilanciamento e del compromesso ha però un prezzo, che si può talvolta manifestare in incoerenze tra la descrizione della situazione e le decisioni prese o tra il tono del comunicato e quello della conferenza stampa. C’è poi un bilanciamento intertemporale, per cui questa volta si dà spazio agli uni e la prossima si darà spazio agli altri. E così il mese scorso le colombe hanno votato per il rialzo in cambio della promessa di lasciare i tassi fermi in giugno. In giugno si sono lasciati i tassi fermi, ma i falchi hanno avuto spazio nei dots e nella porta aperta a un rialzo in luglio.

I dots, i puntini, sono la forma grafica delle previsioni che, ogni tre mesi, ogni singolo componente del consiglio della Fed esprime su economia, disoccupazione, inflazione e tassi. Le previsioni si estendono sull’anno corrente e i due successivi e forniscono un’idea degli umori prevalenti del momento. Vanno presi con cautela, perché nei dots c’è una componente tattica (il tentativo di influenzare il resto del consiglio e i mercati) ma soprattutto perché gli umori del momento tenderanno a cambiare nel corso del tempo.

Le previsioni dei dots sono a volte incoerenti tra loro, con grande gioia dei commentatori che possono esporre queste contraddizioni al pubblico, ma hanno comunque un valore segnaletico ed è quindi giusto dedicare loro attenzione.

Nei dots di ieri ha colpito l’indicazione di altri due rialzi dei tassi entro fine anno. Per un mercato che fino a poche settimane fa scontava tre tagli nello stesso periodo è un colpo duro. Due rialzi invece di tre tagli significano 125 punti base di differenza a fine 2023.

In conferenza Powell ha poi rincarato la dose dichiarando che non ci saranno tagli nei prossimi due anni, una presa di posizione così forte ed eccentrica da essere stata accolta dai mercati con un’alzata di spalle.

Da ieri, comunque, i mercati non prezzano più nessun taglio da qui a fine anno, ma si rifiutano di incorporare i due rialzi dei dots. Il rifiuto dei mercati di allinearsi con la Fed parte dall’idea che l’inflazione scenderà e che la crescita rallenterà. La Fed parte invece dall’idea che, finché crescita e occupazione tengono, l’inflazione rimarrà vivace e andrà contenuta.

I mercati pensano poi che la Fed stia bluffando e che assuma toni severi solo per abbassare le aspettative d’inflazione. Quando sarà il momento, ritengono, la Fed non avrà il coraggio di rischiare una recessione e invertirà rapidamente il corso della sua politica monetaria.

È più di un anno che assistiamo a questo equivoco tra Fed e mercati. Per buona parte del 2022 i mercati hanno creduto troppo alla Fed, pensando che la dichiarata disponibilità della banca centrale ad andare in recessione significasse recessione certa e imminente. Nel 2023 i mercati credono invece troppo poco alla Fed e pensano che questa bluffi su tutta la linea.

Va notato che non è solo la Fed ad avere sbagliato (volutamente o no) le sue previsioni. Anche i mercati hanno sbagliato le loro. Basta pensare al fatto che, ancora a cavallo tra 2022 e 2023, i mercati pensavano a un inizio di ciclo di tagli già in primavera. La primavera è passata e, invece dei tagli, abbiamo visto (e probabilmente continueremo a vedere almeno fino a luglio) solo rialzi.

Con i toni duri di ieri la Fed ha opposto un muro al rialzo azionario che stava prendendo velocità. Ricordiamo che per la Fed il mercato azionario è uno strumento di politica monetaria e che un rialzo esuberante (che cominciava a mostrare l’intenzione di diventare bolla sui settori caldi come l’intelligenza artificiale) non dà nessun aiuto al tentativo di raffreddare l’inflazione e la crescita.

Il rialzo estivo è così bloccato con blocchi di cemento. Non ci sono al momento ragioni per cui le borse debbano invertire la rotta e iniziare a scendere, ma la continuazione del rialzo diventa ora più complicata. Paradossalmente, i mercati avrebbero preso meglio un rialzo accompagnato dalla promessa di essere l’ultimo.

Quanto durerà la sosta forzata delle borse? Che cosa potrà fare riprendere il rialzo? La risposta va cercata nell’occupazione (a condizione che si mantenga forte) e, ancora di più, nell’inflazione. Sappiamo già che l’inflazione anno su anno (quella che colpisce di più il pubblico e i mercati) scenderà nei prossimi mesi. Sarà soprattutto effetto base (sarà cioè effetto di quello che è successo un anno fa e non di quello che succede adesso) ma la potenza ottica di un 3 davanti alla virgola sull’inflazione core sarà irresistibile e spingerà il mercato verso nuovi massimi di periodo.

Quanto al mercato del reddito fisso, gli sviluppi che abbiamo descritto spingono a confermare l’idea che, ancora per qualche mese, sia meglio rimanere su scadenze brevi. Con una curva dei tassi invertita, il breve rende più del lungo (a parità di merito di credito, naturalmente) ed è meno volatile.

L’ultima considerazione è sulla Bce. Come la Fed (e come molte altre banche centrali) la Bce corregge al rialzo le sue stime sull’inflazione. Ma mentre la Bce corregge al ribasso le sue stime di crescita (e alza i tassi), la Fed le corregge al rialzo (e non alza i tassi). Interessante.

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