In senso strettamente etimologico, è perfetto ciò che è completato. I grammatici antichi chiamarono tempo perfetto quello di un’azione terminata (Veni, vidi, vici) contrapponendola a un’azione continuativa, che richiede l’imperfetto (la mattina andavo a passeggiare). Nel pensiero greco la perfezione ebbe però anche altri attributi, fondati su base non logica, ma ontologica e antropologica. La perfezione è dunque buona, bella, vera e reale.
In senso strettamente etimologico, è perfetto ciò che è completato. I grammatici antichi chiamarono tempo perfetto quello di un’azione terminata (Veni, vidi, vici) contrapponendola a un’azione continuativa, che richiede l’imperfetto (la mattina andavo a passeggiare). Nel pensiero greco la perfezione ebbe però anche altri attributi, fondati su base non logica, ma ontologica e antropologica. La perfezione è dunque buona, bella, vera e reale.
Riempito di tutte queste meraviglie, il concetto di perfezione resta però privo di un’altra qualità positiva, ovvero la possibilità di evolvere e migliorare. La perfezione, in altre parole, è statica come il Dio aristotelico e non è perfettibile. Ecco allora i tentativi di immaginare l’evoluzione, oltre che nell’uomo, anche in Dio. Nel mormonismo (o nel transumanesimo alla Harari di Homo Deus) Dio era un tempo imperfetto come lo è oggi l’uomo. L’uomo, a sua volta, sarà un giorno perfetto come lo è oggi Dio.
I mercati finanziari, nella prossima fase, si troveranno ad affrontare ogni giorno il paradosso della perfezione. Una volta scontato il migliore dei mondi possibili che cosa resta da fare? Che spazio c’è per continuare a salire? Il problema coinvolge sia le azioni sia i bond, ma mentre le azioni possono immaginare una crescita degli utili, i bond non possono ipotizzare una crescita delle cedole in strumenti che sono per definizione a tasso fisso.
Ma andiamo con ordine. In che misura i mercati scontano già oggi la perfezione? Se guardiamo le previsioni di consenso e le narrazioni prevalenti siamo molto vicini a questo punto. L’inflazione è data non solo per vinta (restano solo lavori di rifinitura sulla parte core) ma è vista come vinta per sempre. I mercati, in pratica, stanno sposando retroattivamente la teoria dell’inflazione transitoria. Certo, tre anni di inflazione sono parecchio di più dei pochi mesi immaginati a metà 2021, ma restano un battito di ciglia nel tempo cosmico. L’idea che l’inflazione abbia messo radici e che il suo fuoco, alimentato dalle politiche fiscali espansive, covi sotto la cenere era piuttosto diffusa fino a tempi recenti. Oggi è quasi scomparsa.
La crescita americana, dal canto suo, è superiore al livello potenziale (per quanto arbitrario ne sia il calcolo) e può quindi garantire utili in aumento. Accanto alla narrativa dell’atterraggio morbido, in questo momento largamente maggioritaria, si diffonde rapidamente quella della continuazione indisturbata del volo della crescita (il no landing). E cosa c’è di meglio che avere un’inflazione perennemente bassa e una crescita perennemente elevata?
Abbiamo fatto cenno ai disavanzi pubblici, che tra settembre e ottobre sono stati scoperti come problema serio dai mercati obbligazionari e che oggi sono ritornati sullo sfondo. Questi disavanzi si ridurranno di poco in America (il 2024, anno elettorale, non è certo propizio per i tagli di bilancio). In Europa, con la revisione appena approvata del Patto di stabilità, resteranno ampi ancora per qualche anno. Come osserva Jeromin Zettelmeyer di Bruegel, la stretta vera partirà dal 2027, in particolare per l’Italia. Quanto a Cina e Giappone, il loro disavanzo crescerà rispetto a quello attuale.
Le politiche fiscali espansive hanno normalmente un duplice effetto. Da una parte stimolano la crescita, dall’altra fanno salire l’inflazione e i tassi. I mercati assumono oggi solo il primo effetto. Dopotutto l’inflazione è scesa in questi due anni proprio mentre i disavanzi rimanevano elevati. Perché non dovrebbe continuare così?
Proseguiamo la rassegna con l’occupazione. Finora, come desiderato dalla Fed, sono scese le offerte di lavoro, mentre i posti di lavoro continuano a crescere a buon ritmo. La Fed stima al 4.1 il tasso di disoccupazione terminale, poco sopra il livello attuale. Niente crisi, quindi, niente riduzione dei consumi delle famiglie.
Infine i tassi, dove il mercato vede distendersi davanti a sé una prateria di due anni di ribassi. I tassi di policy sono oggi prezzati al 3.75 a fine 2024 e poco sopra il 3 fino a fine decennio. C’è spazio per scendere ancora? Certamente, in caso di recessione. Forse, in assenza di recessione. Va però ricordato che negli ultimi giorni la Fed ha mandato messaggi contrastanti sulle sue intenzioni. Bostic, ad esempio, pur essendo storicamente una colomba, ha anticipato solo due tagli per l’anno prossimo.
In sintesi, le domande a questo punto sono tre.
È davvero perfetto il quadro attuale? Sì, se ne facciamo la foto, lo è.
Può prolungarsi nonostante le tensioni interne tra crescita e inflazione? È possibile. Nel decennio scorso abbiamo visto l’occupazione crescere senza fare scattare aumenti salariali. In questo potremmo vedere ampi disavanzi senza inflazione. È tutta una questione di offerta. Se si amplia l’offerta (come si è fatto con il petrolio) può crescere anche la domanda senza creare tensioni sui prezzi. Siamo però nel campo delle ipotesi, non delle certezze.
Possono salire ancora i mercati nonostante già scontino la perfezione? Sì, se si guardano le esperienze passate. Le bolle nascono in contesti di perfezione percepita e vanno cavalcate, purché si indossi il paracadute. Certo, in un eventuale contesto di inflazione stabilizzata non ci saranno rialzi, ma sbadigli, ogni volta che ne uscirà conferma. In compenso, il bull market troverà una perfezione di ordine superiore, un deus ex machina che gli darà spazio per immaginare l’inimmaginabile, ovvero la perfezione che diventa ancora più perfetta. L’Intelligenza Artificiale sarà questo deus ex machina.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist del Gruppo e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.