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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

IL ROSA E IL GRIGIO

È giustificato l’ottimismo dei mercati?

Nell’ultimo trimestre del 2018 i mercati hanno indossato occhiali con lenti grigie. Dopo il rialzo dei tassi da parte della Fed in dicembre le lenti grigie sono state sostituite con lenti nere. In gennaio ci si è ricomposti e verso la fine del mese si è guardato al mondo con lenti neutre, senza più pessimismo ma nemmeno con particolare ottimismo.

Nell’ultimo trimestre del 2018 i mercati hanno indossato occhiali con lenti grigie. Dopo il rialzo dei tassi da parte della Fed in dicembre le lenti grigie sono state sostituite con lenti nere. In gennaio ci si è ricomposti e verso la fine del mese si è guardato al mondo con lenti neutre, senza più pessimismo ma nemmeno con particolare ottimismo. Poi, dall’inizio di febbraio, si sono tirate fuori dai cassetti le lenti rosa che erano state usate l’ultima volta in agosto.

E così, in meno di due mesi, siamo passati dal temere una recessione globale (dal temere, addirittura, di esserci già dentro) all’ipotesi di nuovi imminenti massimi storici di borsa come cosa praticamente scontata.

Come sempre accade in questi casi, la volatilità ha fatto parecchie vittime e si appresta probabilmente a farne di nuove. Come sempre accade in questi casi, d’altra parte, la confusione è notevole. Certo, quasi tutti gli investitori hanno sempre e comunque qualche esposizione al rischio e quasi tutti sono rialzisti naturali. I mercati in ripresa danno quindi sempre sollievo, ma il sollievo è una cosa e la chiarezza d’idee è un’altra e in questo momento è scarsa.

Vediamo allora che cosa sta succedendo alla realtà sottostante, sia come dati obiettivi sia come policy.

In America la crescita ha perso dei colpi nel quarto trimestre ma si è conservata positiva e vicina al 2 per cento. Nel primo trimestre siamo probabilmente sugli stessi livelli. Quello che confonde le idee è che siamo di fronte a una crescita irregolare, con l’occupazione forte e la produttività debole, con settori che crescono e altri che ristagnano o arretrano e con i consumi, il 70 per cento dell’economia, che danno messaggi clamorosamente contrastanti. In pratica, da quello che si può capire, non molto è cambiato da due mesi fa ad oggi e non molto dovrebbe cambiare nel resto del 2019.

In Europa la profondità della crisi del 2018 è stata costantemente sottovalutata dai mercati, dai governi e dalla Bce. La crisi è stata estesa (con danni particolarmente evidenti alla produzione industriale) e si sta prolungando in questo inizio d’anno. A differenza che in America, tuttavia, siamo a un punto di inversione. Dovremmo insomma avere visto il peggio e da qui in avanti dovremmo assistere a una lenta riaccelerazione.

In Cina la seconda metà del 2018 è stata pessima. È per questo motivo che la reazione di policy è partita prima che in America e in Europa ed è per questo che è stata particolarmente aggressiva. In un momento in cui lo scontro con gli Stati Uniti è diventato da commerciale a strategico la Cina ha visto in discussione l’intero suo modello di business, il suo posizionamento tecnologico e militare nel mondo e perfino, sullo sfondo, la sopravvivenza della sua classe dirigente. Per tenere in piedi l’economia si è usato di tutto, senza rinunciare a ricorrere di nuovo a strumenti sempre più rischiosi come il debito. La forza di questi stimoli avrà un costo a medio termine, ma nel breve garantirà alla Cina un 2019 migliore, soprattutto se verrà raggiunto un accordo di massima con l’America, al momento molto probabile.

Anche in America la reazione di policy è stata spettacolare, ma agli effetti pirotecnici fa riscontro, finora, una sostanza più modesta. Il linguaggio è cambiato radicalmente e da durissimo e acido si è fatto morbido e disponibile. Il mercato azionario è stato promosso ufficialmente a pilastro della politica monetaria ed è stato così riadottato dalla Fed come figlio prediletto. La guidance a lungo termine è stata buttata nel cestino e il tormento trimestrale dei dot (le stime che ogni membro del board fa sul futuro di economia e tassi) si prepara a seguire la stessa sorte.

Guardando alla sostanza, tuttavia, abbiamo solo la rinuncia a uno dei due rialzi inizialmente previsti per il 2019 e la disponibilità a riflettere seriamente (e ci mancherebbe) se realizzare davvero il rialzo rimasto. Quanto alla fine anticipata del Quantitative tightening, il valore simbolico è maggiore di quello reale se è vero, come sembra, che si arriverà comunque al ridimensionamento degli attivi già programmato, anche se più lentamente.

In Europa, un’area, ricordiamo, sull’orlo della recessione, le misure di policy, fino a questo momento, hanno brillato per la loro assenza. Si discute molto, certo, ma è difficile che venga fuori qualcosa di più di un rinnovo del Tltro.

Sul commercio, infine, non ci sono più molti dubbi sul fatto che nei prossimi giorni verrà definito un accordo quadro tra Stati Uniti e Cina. Naturalmente è meglio un accordo, buono o mediocre che sia, piuttosto che tariffe e conflitti senza fine, ma questo è già nei prezzi. Quello che non è nei prezzi è che il conflitto possa riaprirsi in futuro se la Cina non manterrà neanche questa volta le sue promesse.

Tirando le somme abbiamo un’economia stabile in America e in lenta riaccelerazione nel resto del mondo e misure di policy forti in Cina, modeste in America e ancora assenti in Europa. È abbastanza per giustificare il 20 per cento di rialzo delle borse tra Natale e oggi? Sì, ma non perché ci sia oggi da essere particolarmente ottimisti, bensì per il fatto che il pessimismo di dicembre è stato eccessivo.

È abbastanza, il quadro macro, per giustificare ulteriori rialzi e magari i nuovi massimi di cui si parla sempre più spesso? No, il quadro macro non è abbastanza, ma i mercati hanno una logica loro che li rende meno ovvi di quanto a volte si pensi.

L’anno scorso, in America, gli utili sono saliti del 24 per cento, l’economia è andata bene o benissimo a seconda dei momenti e la borsa è scesa dell’8 per cento. Quest’anno economia e utili saranno mediocri, ma la borsa potrebbe andare bene e crescere di un 10-15 per cento. È tutto un gioco di multipli, in ritirata quando si pensa a una Fed a testa bassa contro l’inflazione, di nuovo in espansione quando si vede una Fed che si gira dall’altra parte. La crescita economica, come si vede, è importante sul lungo termine, ma nel breve e medio non sempre va guardata come fattore determinante.

Prima del 2020 e dell’epico scontro politico che lo caratterizzerà (facendo inevitabilmente tremare i mercati) faremo quindi in tempo a vivere un 2019 relativamente tranquillo. La crescita delle borse rallenterà vistosamente, ma nulla vieta che possa proseguire a velocità ridotta, favorita anche da una maggiore tranquillità dell’obbligazionario.

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