rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

IL SOL DELL’AVVENIRE

Utopia, distopia e realtà dell’intelligenza artificiale

L’innovazione tecnologica ha creato storicamente reazioni diverse. Le due più frequenti sono state da una parte il rifiuto impaurito e dall’altra l’accettazione acritica.

L’innovazione tecnologica ha creato storicamente reazioni diverse. Le due più frequenti sono state da una parte il rifiuto impaurito e dall’altra l’accettazione acritica.

Il rifiuto impaurito si divide a sua volta in due filoni storici. Il primo è ad opera dei gruppi sociali direttamente danneggiati dall’innovazione. L’esempio più interessante è quello dei Ludditi che, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, si opposero all’introduzione del telaio meccanico, che provocava disoccupazione e abbassamento dei salari. I Ludditi si dettero per anni al sabotaggio dei nuovi macchinari, furono duramente repressi e i loro capi finirono sulla forca.

Il secondo filone è recente e riguarda le paure più o meno fondate e spesso vaghe di una parte dell’opinione pubblica occidentale nei confronti di innovazioni ritenute rischiose, anche se spesso non direttamente lesive oppure raramente lesive oppure di lesività tutta da dimostrare. Ne sono esempi l’ostilità verso le centrali nucleari, i prodotti geneticamente modificati, il 5G o la carne coltivata. Il dibattito su questi temi ha tipicamente toni accesi, ma la natura circoscritta del problema fa sì che nessuno evochi seriamente la sopravvivenza della specie umana come posta in gioco.

Il campo dell’accettazione acritica dell’innovazione, dal canto suo, percorre tutta la modernità ed è politicamente trasversale, avendo coinvolto storicamente i sistemi liberali, i fascismi e il socialismo reale. I governi hanno pensato all’innovazione tecnologica come a uno strumento di potenza, da tradurre il prima possibile in forza militare. In questo spirito i governi hanno proposto alle loro opinioni pubbliche di accettare e appoggiare l’uso civile del nucleare negli anni Cinquanta, la conquista dello spazio negli anni Sessanta e Internet negli anni Novanta (tutti e tre nati in ambito militare). Strada facendo il consenso attivo dell’opinione pubblica ha lasciato il posto, in Occidente, a un atteggiamento di prudenza, di disillusione o perfino di ostilità, ma le innovazioni sono rimaste.

Più in profondità, l’apertura e l’entusiasmo per l’innovazione appartengono al sostrato psichico della modernità. Lo stesso si può dire per quella disponibilità alla meraviglia che accomuna il pubblico che nella seconda metà dell’Ottocento affollava i teatri per ascoltare inventori e innovatori e che oggi affolla i Ted talks per rimanere incantato dai prodigi dell’intelligenza artificiale.

Quello che l’AI ha di nuovo, rispetto alla carrellata storica che abbiamo tratteggiato, è che il desiderio di rallentarla o bloccarla non viene (per ora) da un gruppo sociale danneggiato o dalle vaghe paure provenienti dalla pancia dell’opinione pubblica, ma una parte significativa, anche se minoritaria, dei creatori stessi dall’AI. Qui l’unico precedente è quello di J. Robert Oppenheimer e di alcuni altri fisici che intuirono presto le implicazioni distruttive della bomba atomica che stavano progettando e cercarono nel dopoguerra di impedire o ritardare lo sviluppo della bomba all’idrogeno o addirittura di passarne i progetti all’Unione Sovietica, in modo da ristabilire almeno un equilibrio di forze.

L’AI non è nuova a queste resistenze interne. Nei suoi settant’anni di storia (fatta di false partenze, di passi avanti improvvisi e di lunghi inverni di stagnazione) le fasi di progresso sono state accompagnate da grida di allarme provenienti dall’interno sull’esito distopico, totalitario e distruttivo che l’AI ci preparerebbe. Oggi un guru dell’AI come Eliezer Yudkowsky dedica tutte le sue forze all’AI alignment, ovvero ad addomesticare la bestia (che di suo trova sempre il modo di aggirare i vincoli), ma non si dichiara particolarmente ottimista. Lo stesso Sam Altman, cofondatore di OpenAI, dichiara che il suo prodotto creerà milioni di disoccupati, aumenterà la discriminazione razziale, creerà macchine più intelligenti di tutta l’umanità messa insieme e avrà effetti terribili che non possiamo nemmeno immaginare (a questo punto l’intervistatrice gli chiede perché diavolo l’abbia inventato e lui risponde che ne rallenterà lo sviluppo).

Sull’altro versante, gli ideologi dell’AI alla Nick Bostrom, che insegna Filosofia a Oxford, offrono visioni grandiose di immortalità attraverso l’uploading della nostra storia personale e delle nostre emozioni in una Superintelligenza e calcolano con precisione quanti quintilioni di spiriti umani potranno presto popolare la galassia.

Scendiamo sulla terra e proviamo ad avanzare qualche ipotesi pratica.

1. L’AI non verrà rallentata, se non in apparenza e solo in qualche applicazione per il grande pubblico. Le sue implicazioni di potenza, tra cui quelle militari, sono tali da renderla irresistibile per i governi.

2. L’AI è parte importante del conflitto tra Cina e Stati Uniti. La Russia è indietro e si limita a fornire suo malgrado le sue teste migliori a Silicon Valley. L’Europa pensa solo a regolamentarla.

3. L’AI non verrà bloccata anche perché nasceranno AI autocefale di ispirazione libertaria o criminale.

4. L’AI, nella sua storia, ha oscillato tra un approccio logico e uno statistico. L’approccio statistico si è rivelato molto più fecondo, ma ha il difetto della fallibilità. Questo ne rallenterà la diffusione in ambito civile (è lo stesso problema che abbiamo visto con le auto a guida autonoma) laddove prevale il principio di precauzione.

5. Per quanto fallibile, l’AI troverà rapida applicazione in varie industrie. Le sue proposte andranno testate, non tutte funzioneranno, ma ci sarà un’accelerazione nel processo di esplorazione di nuove strade.

6. Paradossalmente, chi in rete esprime oggi più timori per il destino del proprio posto di lavoro sono i programmatori, perché l’AI è oggi in grado di programmare in qualsiasi linguaggio molto più velocemente di loro. In generale, le posizioni teoricamente più a rischio sono quelle dei colletti bianchi. Colletti blu e parte dei servizi continueranno comunque a richiedere esseri umani.

7. Oggi il mondo è in piena occupazione, al punto che le banche centrali puntano esplicitamente a creare qualche disoccupato in più. Questo vuol dire che finora abbiamo assorbito tutte le innovazioni tecnologiche della storia umana senza creare in modo duraturo moltitudini di disoccupati. Questo ha da essere lo scenario di base anche per l’AI.

8. Le retribuzioni nell’AI partono sopra i 100mila dollari e arrivano rapidamente a 200mila e oltre. A parte questo, l’AI avrà un impatto deflazionistico, ma non generalizzato. L’enorme consumo di energia dell’AI, ad esempio, sosterrà i prezzi e le retribuzioni del settore.

9. Per ora l’AI brucia cassa, e tanta. Ha dietro mani forti che sanno che diventerà redditizia, ma per un certo periodo i ricavi non copriranno i costi. L’AI ha tutte le carte per produrre una bolla del settore. Anche in borsa, probabilmente, avrà una serie di false partenze.

10. La letteratura di fantascienza esplora da decenni il lato oscuro dell’AI, la dipendenza che crea negli umani che alla fine la percepiscono come una divinità oscura. Per prevenire questi esiti bisogna conoscerla, capirne la fallibilità e le umanissime debolezze e leggerla, tra l’altro, in chiave geopolitica.

Venendo all’immediato, l’avere circoscritto l’incendio delle banche ha prodotto uno short squeeze sulle borse. In cambio del sacrificio di un pugno di banche, è il ragionamento, abbiamo ottenuto tassi più bassi su gran parte della curva e banche centrali più caute che presto inizieranno a tagliare i tassi aggressivamente. In più la liquidità è abbondante, l’economia tiene e l’inflazione headline, vista la discesa di greggio e gas nelle ultime settimane, è di nuovo in discesa.

Tutto vero, a condizione di non dimenticare che l’inflazione core è ancora forte e che i depositi delle banche continueranno a subire la concorrenza degli strumenti di mercato monetario. Quanto alle banche centrali, è vero, si fermeranno presto, ma questo non significa necessariamente che taglieranno molto già quest’anno.

Il recupero è giustificato, quindi, ma i problemi non sono finiti.

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