rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

ILLUSIONI E REALTA’

Le false partenze dell’innovazione

L’abbiamo rimosso, ma qualcuno ricorderà che, alla fine del decennio scorso, si parlava molto, con grande eccitazione, della forte disruption che l’avvento imminente delle auto e dei camion a guida autonoma avrebbe portato nelle nostre vite. Era una rivoluzione non solo per l’industria automobilistica, già sotto stress per l’avvento dell’elettrico, ma per l’intero sistema dei trasporti, per l’urbanistica e per il nostro stile di vita.

L’abbiamo rimosso, ma qualcuno ricorderà che, alla fine del decennio scorso, si parlava molto, con grande eccitazione, della forte disruption che l’avvento imminente delle auto e dei camion a guida autonoma avrebbe portato nelle nostre vite. Era una rivoluzione non solo per l’industria automobilistica, già sotto stress per l’avvento dell’elettrico, ma per l’intero sistema dei trasporti, per l’urbanistica e per il nostro stile di vita.

Non c’era ancora stato il Covid e il lavoro da casa su larga scala non era stato ancora inventato, ma già l’idea di impiegare in attività utili o piacevoli le due ore al giorno passate in macchina senza guidare aveva indotto a ripescare dal fondo della memoria le immagini dei Jetsons, il cartone degli anni Sessanta in cui la famiglia tipo dell’America del futuro chiacchierava amabilmente in una macchina volante. Anche le macchine volanti, del resto, stavano tornando di attualità in un clima in cui tutto sembrava possibile e qualcuno aveva speso dei soldi per fabbricarne dei prototipi in vista, chissà, di una futura quotazione in borsa.

C’era poi, dall’altro lato della medaglia, il dibattito sulla triste sorte che attendeva autisti, camionisti e tassisti, tutti destinati alla disoccupazione. Era il prezzo del progresso, si pensava.
Nei giorni scorsi, a poche ore di distanza l’una dall’altra, due notizie apparentemente scollegate hanno dato l’idea di quanto tormentata e lunga sia la strada del progresso tecnico (ricordiamo che le prime auto a guida autonoma risalgono all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso). La prima notizia è che Apple, dopo averci speso anni e soldi, ha abbandonato il suo progetto di costruire una sua auto a guida autonoma. La seconda è che la International Brotherhood of Teamsters, il sindacato dei camionisti (quello che fu di Jimmy Hoffa, il kingmaker che fece vincere la Casa Bianca prima a Kennedy e poi a Nixon) ha strappato un aumento salariale del 23 per cento per i suoi associati che trasportano la birra. Licenziati, dunque, gli ingegneri e i tecnici delle auto a guida autonoma, contesi e ben pagati i camionisti.

Oggi si parla ovunque di AI generativa, ma già vediamo come il cammino di questa innovazione sia costellato da trappole. Google, dopo avere lanciato con enfasi la sua nuova AI Gemini, ne ha immediatamente ritirato alcune componenti. In nome della diversità e dell’inclusione, l’AI aveva infatti prodotto soldati tedeschi della seconda guerra mondiale con fattezze africane e indiane e vichinghi con la pelle scura.

Si è così riaperto il dibattito sulle potenzialità dell’AI generativa, da alcuni individuata come una distrazione appariscente buona a generare veloci guadagni più che solide conquiste tecnologiche. Si è tornati a parlare dell’AI come pappagallo stocastico, citando l’esperimento mentale della Stanza Cinese che il filosofo John Searle aveva proposto nel 1980. Mettetemi in una stanza con libri e giornali cinesi, aveva scritto Searle, e passatemi un biglietto con una domanda composta da ideogrammi. Io consulterò la libreria e guarderò quali ideogrammi seguono di solito quelli che mi avete proposto. La mia risposta vi apparirà sensata e interessante, ma io non avrò capito né la domanda che mi avete fatto né la risposta che vi ho dato.

Altri hanno denunciato il potenziale orwelliano di un’AI educata su un’unica linea di pensiero. Altri ancora, come Yudkowsky, hanno ricordato che, per quanto diligentemente si cerchi di educare un’AI e per quante norme di chiusura si mettano ai suoi comportamenti (come le leggi della robotica di Asimov, che impongono in qualsiasi caso di non fare male agli umani), l’AI può sempre trovare un forellino attraverso il quale fare passare comportamenti aberranti.

Qualcuno, non si sa chi, nelle scorse settimane ha fatto trovare sulla scrivania dei dirigenti di OpenAI grandi quantità di graffette. E’ stata un’allusione a un altro esperimento mentale, proposto nel 2003 dal filosofo svedese Nick Bostrom. Date a un’AI l’umile compito di produrre il massimo numero di graffette e questa, gradualmente, userà tutta la materia e l’energia dell’universo per produrre graffette.

Viviamo in mezzo alle bombe atomiche da 80 anni e riusciremo molto probabilmente a convivere con l’AI nei prossimi 80, ma non pensiamo a uno sviluppo lineare. L’AI generativa, in ogni caso, è per alcuni una scorciatoia che offre frutti veloci, ma che non prepara l’avvento dell’AI realmente intelligente, perché questa corre (anzi cammina molto lentamente, a dire il vero) su binari diversi.

Problemi per gli ingegneri, si dirà. Per gli investitori il problema è quello di non cadere nelle trappole, che saranno sempre più numerose, di chi promette miracoli da una parte e di chi paventa la distruzione di interi settori produttivi dall’altra. Qualche volta sarà vero, certo, altre volte la narrazione dei collocatori di Ipo andrà presa con le pinze.

In pratica, c’è ancora molto spazio per cavalcare l’onda, ma questo non significa credere ciecamente a tutto quello che verrà raccontato.

Venendo all’attualità, il Pce, che è la terza fotografia dell’inflazione americana di gennaio (dopo Cpi e Ppi), non è tranquillizzante come è apparso ai mercati, che in questa fase non vogliono sentire brutte notizie. La riaccelerazione dell’inflazione core è infatti ampia e diffusa. Detto questo, un singolo mese non falsifica necessariamente la tesi della discesa strutturale dell’inflazione. Anche qui, però, restiamo con gli occhi aperti. Se da una parte ci sono la Cina che esporta deflazione e l’energia che si mantiene abbastanza stabile, dall’altra ci sono continui segnali sul fronte fiscale, sempre più espansivo negli Stati Uniti (nuova cancellazione di parte dei prestiti universitari, nuovo pacchetto in dirittura di arrivo di tagli fiscali per le imprese) e, almeno in prospettiva, per un’Europa che vuole la transizione energetica, quella digitale e un massiccio riarmo.

Rimaniamo costruttivi sulle borse e sui bond brevi, ma non diamo nulla per scontato.

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