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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

LA SCALA

Houston, abbiamo un problema

Si è discusso molto, in questi mesi, di ripresa a V, U, W o L. Le diverse lettere hanno espresso gradi diversi di ottimismo, massimo nella V, che implica un ritorno veloce alla crescita tendenziale, e minimo nella L, che implica una perdita permanente di crescita per effetto della pandemia.

Si è discusso molto, in questi mesi, di ripresa a V, U, W o L. Le diverse lettere hanno espresso gradi diversi di ottimismo, massimo nella V, che implica un ritorno veloce alla crescita tendenziale, e minimo nella L, che implica una perdita permanente di crescita per effetto della pandemia.

La realtà, alla luce dei dati macro, sembra per ora confermare la U in Europa e la V in America. La differenza riflette due fattori. Il primo, di politica sanitaria, è la diversa velocità con cui si è tornati alla normalità della vita, gradualmente in Europa, a tappe forzate in buona parte degli Stati Uniti. Il secondo, di politica del lavoro, riflette da una parte la scelta europea di congelare l’occupazione nelle imprese piccole e medie, mentre dall’altra l’America ha scelto di licenziare massicciamente (arrivando a sfiorare i 50 milioni di disoccupati) per poi riassumere aggressivamente nelle ultime settimane.

Neil Dutta, economista di Renaissance Macro, propone ora per l’America un modello un po’ più articolato per la ripresa in corso, quello della scala. Brusche fasi di accelerazione, seguite da fasi piatte e poi da nuovi momenti di ripresa.

Questo schema coglie probabilmente meglio, a nostro parere, l’evoluzione in due fasi dell’epidemia negli Stati Uniti. Nella prima fase, che ha colpito soprattutto il nord del paese, il lockdown è stato all’europea, ha prodotto il collasso del Pil (sceso comunque meno che in Europa) e, una volta terminato, una prima fase di veloce ripresa. Nella seconda fase, quella che stiamo vivendo, il virus ha colpito il resto del paese, in particolare il sud, che però sta reagendo in modo diverso rispetto al nord e sta tentando di minimizzare l’impatto sulla sua economia.

I turisti non visitano mai Houston, l’immensa metropoli che fra 15 anni supererà Chicago come terzo polo urbano d’America. A differenza di New York, che nei giorni bui dell’epidemia era una città spettrale, Houston è ancora abbastanza aperta nonostante abbia ormai saturato le postazioni di terapia intensiva dei suoi ospedali. È una questione di mentalità (i texani si sentono i veri americani, spavaldi e machos) ma è anche una questione politica. Gli stati del sud, quasi tutti repubblicani, vogliono arrivare alle presidenziali con l’economia in piena ripresa. Gli stati del nord, democratici, non hanno nessuna fretta di regalare a Trump il tema della rifioritura dell’economia e il boom della borsa.

Tutti hanno dunque le loro buone ragioni, sanitarie, economiche e politiche, e il tempo stabilirà chi ne ha di più. L’effetto pratico, per il momento, è che questa fase meridionale di Covid determinerà per qualche settimana un arresto della ripresa, ma non una sua inversione.

Il flusso recente di dati macro americani, ultimo l’ottimo dato sull’occupazione, fotografa la situazione un attimo prima della fase meridionale di Covid (è scorretto parlare di seconda ondata). Per usare la metafora del gradino della scala, siamo al punto più alto dell’alzata, allo spigolo. Nelle prossime settimane arriveranno i dati del ripiano, che evidenzieranno la perdita di momentum della ripresa.

I mercati avranno due modi di reagire. Potranno scendere (non ci libereremo mai di Covid e più andiamo avanti più pezzi di economia perderemo per sempre). Oppure potranno fermarsi e muoversi lateralmente, guardando avanti. A favore della seconda ipotesi giocano vari elementi.

Il primo è che Covid, ovunque sia passato, ha infierito con particolare intensità per due mesi e poi è andato calando. Il tipo di reazione (contrasto o indifferenza) ha influito sull’entità dei danni ma non sulla durata dell’epidemia. In attesa di conferme empiriche, i mercati tenderanno quindi a pazientare. Il secondo è che i portafogli, anche dopo gli acquisti di fine semestre, non sono particolarmente carichi di rischio. Il terzo è che il prolungarsi della pandemia comporterà ulteriori misure espansive fiscali e monetarie.

Quest’ultimo punto merita un breve approfondimento. I molti che pensano che si stia esagerando con gli stimoli non tengono conto di due elementi. Il primo è che le misure varate finora sono state calcolate grosso modo per colmare il vuoto creato da Covid, non per creare crescita ma per contenere la recessione. Il secondo è che una parte importante degli stimoli viene spesa meno del previsto, sia dalle famiglie che li trasformano in risparmio (che in qualche caso giocano in borsa) sia dalle imprese che ne approfittano per ripagare debiti. Si sta in qualche modo ripetendo l’esperienza del decennio scorso, quando la liquidità creata dal Quantitative easing si trasformò meno del previsto in stimolo all’economia perché le banche la ridepositarono presso la Fed.

Se questa volta esplodono i risparmi ma non gli investimenti (quelli produttivi, non quelli finanziari), l’economia tenderà comunque a implodere. Per evitarlo resterà solo la spesa pubblica, come insegna la storia giapponese degli ultimi trent’anni. Finora, tra le misure monstre varate quasi dappertutto, la spesa pubblica per infrastrutture è limitata (un trilione in America e mezzo in Europa) e ancora tutta sulla carta. Aspettiamoci dunque altri interventi.

Ribadiamo che gli effetti negativi a lungo termine (inflazione per eccesso di stimoli monetari, perdita di efficienza per l’aumento della componente pubblica del Pil) non saranno prodotti dalle misure prese adesso, ma dal fatto che queste verranno mantenute (eventualmente) troppo a lungo dopo la fine dell’emergenza. Il rischio che il paziente sviluppi una dipendenza dalla morfina non è peraltro un buon motivo per non sedarlo e operarlo oggi se l’alternativa è la perdita della vita.

Venendo al breve termine, ci sembra ancora prematuro parlare di rialzi strutturali dei rendimenti sulla parte lunga della curva. Quanto alle borse, in un secondo semestre laterale che consoliderà i recuperi del secondo trimestre, il tema di fondo non sarà direzionale ma settoriale. Se ci sarà una pausa nel processo di guarigione dell’economia globale torneranno a essere preferibili i settori di crescita e quelli sensibili ai tassi.

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