rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

LE RESTAURAZIONI NON ESISTONO

Perché non torneremo al mondo del 2019

Le restaurazioni non riescono mai, se non parzialmente e per un breve periodo. Al Congresso di Vienna, tra il 1814 e il 1815, le potenze vincitrici si propongono di cancellare un quarto di secolo di turbolenza rivoluzionaria e napoleonica ritornando all’Ancien Régime. Si ripristinano i confini del 1789 (a parte qualche aggiustamento a favore dei vincitori). Si restaura il potere assoluto delle case regnanti in base al principio di legittimità. Si esercita attraverso le polizie politiche un controllo repressivo asfissiante, ben peggiore di quello prerivoluzionario. In questo modo ci si illude di potere tornare al vecchio ordine che per secoli ha governato l’Europa.

Le restaurazioni non riescono mai, se non parzialmente e per un breve periodo. Al Congresso di Vienna, tra il 1814 e il 1815, le potenze vincitrici si propongono di cancellare un quarto di secolo di turbolenza rivoluzionaria e napoleonica ritornando all’Ancien Régime. Si ripristinano i confini del 1789 (a parte qualche aggiustamento a favore dei vincitori). Si restaura il potere assoluto delle case regnanti in base al principio di legittimità. Si esercita attraverso le polizie politiche un controllo repressivo asfissiante, ben peggiore di quello prerivoluzionario. In questo modo ci si illude di potere tornare al vecchio ordine che per secoli ha governato l’Europa.

Perché il tentativo riesce solo per qualche anno e, già nel 1830, la Francia ripristina un ordinamento liberale? Perché la Santa Alleanza e l’unione tra trono e altare falliscono sia sul piano repressivo sia su quello del soft power, ovvero della riconquista del cuore e delle menti degli europei?

Le ragioni sono oggettive (il mutamento strutturale della società). Ma sono anche soggettive. L’Europa giacobina e napoleonica ha provato sulla sua pelle qualcosa di profondamente diverso rispetto a quello a cui era abituata. Nel bene e nel male si è trattato di un’esperienza straordinariamente coinvolgente e sconvolgente, inconcepibile ex ante. E questa esperienza ha lasciato un segno profondo e indelebile in tutti, dal più umile contadino mandato al fronte alla famiglia regnante costretta alla ghigliottina o all’esilio. Il potere restaurato nel 1815 rinasce quindi corroso profondamente dall’interno. È una finzione che nel 1848 verrà spazzata via per sempre.

Restaurare l’ordine e normalizzare la politica monetaria, tornare insomma al mondo del 2019, è oggi l’obiettivo dichiarato di molte banche centrali. Restaurare la disciplina di bilancio è la richiesta dei repubblicani americani e della Germania in Europa. C’è perfino un debole tentativo di ripristinare qualcosa del quadro geopolitico della fine del decennio scorso. Le ipotesi su un cessate il fuoco in Ucraina entro la fine dell’anno, lo sforzo americano di ripristinare canali di comunicazione con Pechino e la resistenza europea alle pressioni per una chiusura più netta verso la Cina vanno in questa direzione.

Il mondo, tuttavia, non ritornerà al 2019.

Solo sul fronte della politica monetaria la linea della restaurazione potrà rivendicare qualche successo. Si tratterà però di successi incerti, fragili e temporanei.

L’inflazione scenderà. Come hanno dimostrato l’Australia, il Canada, la Fed e la Bce e, ultima, la Banca d’Inghilterra, le banche centrali non hanno abbandonato la battaglia contro l’inflazione per dedicarsi all’esclusivo sostegno della crescita, come i mercati hanno invece creduto di capire nelle ultime settimane di strana euforia azionaria. Certo, l’inflazione non è più l’unica loro preoccupazione (bisogna pensare anche alla stabilità finanziaria) ma non per questo è uscita dal loro orizzonte. Ci si proverà a posizionare un po’ dietro la curva, rallentando il ritmo dei rialzi appena possibile, ma se l’inflazione non abbasserà la testa (o se, peggio ancora, la rialzerà) bisognerà ripartire all’attacco e farlo (come in Inghilterra) in modo convincente.

L’inflazione, quindi, scenderà. Lo farà lentamente nei servizi, che si confronteranno ancora per mesi con le rivendicazioni salariali di una forza lavoro impoverita, ma alla fine scenderà anche lì. Già a fine anno qualcuno potrà dichiarare missione compiuta. Il 2 tornerà a fare capolino davanti alla virgola e sull’headline si potrà perfino vedere qualche segno negativo.

Come nell’Europa della Restaurazione, tuttavia, la normalizzazione dovrà essere accompagnata da una sorveglianza continua. Per non alimentare il fuoco dell’inflazione che continuerà a covare sotto la cenere, i tassi non torneranno ai livelli del 2019. I tassi reali, sempre negativi nel decennio scorso, non si allontaneranno dallo zero e per qualche trimestre rimarranno positivi.

Il 2 per cento tornerà visibile, ma entro un paio d’anni l’obiettivo ufficiale verrà alzato. Il Quantitative tightening, dal canto suo, avrà proporzioni modeste e la base monetaria non tornerà più alle dimensioni (peraltro già cospicue) del 2019.

La politica fiscale, dal canto suo, resterà ben lontana dai numeri e dallo spirito del decennio scorso, caratterizzato dal cauto rilancio della spesa durante gli anni di Obama e dall’altrettanto misurato taglio delle tasse negli anni di Trump (allora non parve misurato, ma con gli occhi di oggi l’uno per cento di Pil appare poca cosa).

Oggi, 2023, con il pieno impiego e con la crescita che non dà segni seri di debolezza (e dà anzi di nuovo segni di forza nei due classici settori ciclici, costruzioni e automobili) il disavanzo americano, tenendo conto del costo per la ristrutturazione dei prestiti universitari, sarà dell’8.2 per cento. Era del 4.6, e preoccupava, nel 2019. E se è all’8.2 quando tutto va bene, a quanto arriverà alla prossima recessione?

I repubblicani potranno cambiare qualcosa, se davvero lo vorranno, solo se fra un anno faranno l’en plein e si prenderanno Congresso e Casa Bianca. Faranno però al massimo qualche ritocco, non di più, e aspetteranno che le imposte sui capital gain tornino ad affluire nelle casse del Tesoro e che la Fed torni a fare qualche utile e lo versi al Tesoro. Quanto all’Europa, l’insistenza tedesca per un ritorno alla disciplina fiscale, alla quale la Francia al momento si oppone con forza, non basterà a ripristinare il Patto di Stabilità.

Venendo poi al piano soggettivo, in questi ultimi due anni abbiamo tutti vissuto in un mondo in espansione nominale. C’è stata l’inflazione, certo, ma sono cresciute molto bene le entrate fiscali nominali per i governi, i profitti nominali per le imprese, i valori nominali delle azioni e quelli delle cedole dei bond. Gli stati non hanno accumulato debito (l’inflazione ha compensato quasi pienamente il fortissimo aumento delle spese e il rapporto tra debito e Pil nominale è cambiato poco). I politici hanno potuto spendere a piene mani senza imporre nuove tasse. Gli investitori hanno potuto sentirsi soddisfatti dall’avere oggi, dopo anni di turbolenza, portafogli nominali un po’ più gonfi che nel 2019.

L’inflazione è come la neve. Copre tutte le brutture. Un mondo con crescita nominale al 3, inflazione al 5 e tassi reali a zero appare molto più bello e vivibile di un mondo con inflazione a zero, crescita nominale a meno 2 e tassi reali a zero. Nel primo mondo cresce tutto, economia, profitti, retribuzioni, azioni, cedole obbligazionarie. Nel secondo scende tutto. In entrambi i casi abbiamo perso il 2 per cento del reddito e del patrimonio, ma nel primo caso siamo quasi contenti, mentre nel secondo siamo molto infelici.

Anche per questo restaurare il mondo del 2019 se non sarà impossibile, sarà comunque molto difficile.

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