rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

POLITICA

Mercati ottimisti, elettori inquieti

Come si concilia l’ottimismo dei mercati, che si aspettano un lungo ciclo di bassa inflazione e di buona crescita, con l’inquietudine di parti rilevanti dell’opinione pubblica, non solo occidentale, che potrebbe tradursi, in questo 2024 costellato di scadenze elettorali, in significativi cambiamenti politici? Forse la finanza si è dimenticata non solo del grande gioco della geopolitica, ma anche degli assetti di potere interni dei singoli protagonisti statuali? Forse nell’opinione pubblica c’è disattenzione verso gli indicatori economici e finanziari?

Come si concilia l’ottimismo dei mercati, che si aspettano un lungo ciclo di bassa inflazione e di buona crescita, con l’inquietudine di parti rilevanti dell’opinione pubblica, non solo occidentale, che potrebbe tradursi, in questo 2024 costellato di scadenze elettorali, in significativi cambiamenti politici? Forse la finanza si è dimenticata non solo del grande gioco della geopolitica, ma anche degli assetti di potere interni dei singoli protagonisti statuali? Forse nell’opinione pubblica c’è disattenzione verso gli indicatori economici e finanziari?

Perché, in un’America con pieno impiego, buona crescita e borsa ai massimi, Biden è così debole nei sondaggi? Perché, in un’Europa che ha retto meglio del previsto alla crisi energetica e che ha buoni livelli di occupazione, la Le Pen e la coalizione di Mélenchon godono della maggioranza assoluta delle preferenze politiche degli elettori francesi, mentre il 68 per cento disapprova l’operato di Macron (dati di dicembre di Politico.eu)? E perché Alternative für Deutschland continua a crescere in Germania, mentre Sunak perderà le elezioni nel Regno Unito?

In realtà mercati e opinione pubblica guardano le stesse cose, ma ne danno letture completamente diverse.

Prendiamo l’inflazione. I mercati guardano al ritmo di cambiamento dei prezzi, che è calato vistosamente e si avvicina, anche se con fatica, all’obiettivo del 2 per cento. E festeggiano. I consumatori, dal canto loro, guardano al livello dei prezzi, cresciuto in tre anni più di un quarto. E se il costo del pieno di benzina, che si vede ogni settimana, si è stabilizzato, il costo di tanti beni o servizi che si acquistano più di rado (una risonanza magnetica, una polizza o un contratto d’affitto) è comunque vistosamente più alto rispetto all’ultima volta che lo si è pagato. All’occhio del consumatore, quindi, l’inflazione risulta ancora evidente anche come ritmo di crescita.

A fronte di questi aumenti, le retribuzioni reali, in questi tre anni, hanno perso terreno praticamente ovunque. Ne hanno perso poco in America e in Germania. Ne hanno perso di più nel resto d’Europa (in particolare in Italia) e in Giappone.

Prendiamo adesso l’occupazione. Per i mercati è una storia di successo, festeggiata ogni primo venerdì del mese quando viene pubblicato l’Employment report americano. Dopo l’ultimo dato di venerdì scorso, che include le revisioni relative all’intero 2023, vediamo tuttavia che gli impieghi a tempo pieno sono rimasti, nel corso dell’anno, praticamente invariati, mentre a crescere sono stati solo i lavori part time. I settori in cui gli impieghi sono cresciuti, inoltre, sono stati pubblica amministrazione, sanità e ristorazione e alberghi. Poco altro.

A mantenere contenuto il costo del lavoro ha poi contribuito l’immigrazione, ripresa a livelli record dopo il rallentamento dovuto alla pandemia. Molti governi, in particolare in America, hanno spalancato le porte (quasi 3 milioni di ingressi negli Stati Uniti nel 2023), anche per compensare il crollo della natalità prodottosi con la pandemia e accelerato nel 2023 in tutti i paesi occidentali, in Asia orientale e in America Latina,

Al calo ormai drammatico della natalità e alla conseguente contrazione strutturale del mercato del lavoro è possibile dare tre risposte. La prima sono forti incentivi economici a fare figli (Singapore, Ungheria). La seconda è la spinta alla robotizzazione (Cina, Giappone). La terza, adottata in molti paesi occidentali, è l’immigrazione. Di quest’ultima soluzione i mercati vedono, positivamente, la pressione al ribasso sul costo del lavoro ma lo stesso fattore, unito a considerazioni sociali e culturali, spinge invece all’opposizione parti significative dell’elettorato.

Detto questo, il malessere di una parte dell’opinione pubblica, se anche si tradurrà nel corso del 2024 in spostamenti elettorali, non comporterà mutamenti drammatici di policy, in particolare nella politica economica.

Trump e Biden, con tutte le loro differenze, sono comunque allineati sul protezionismo e sul sostegno congiunto alla domanda e all’offerta. A differenza di Clinton, Obama e Bush, tutti sbilanciati sullo stimolo all’offerta, Trump (in piccolo) e Biden (in grande) hanno cercato (e cercheranno di nuovo se rieletti) di spingere su entrambi i lati. Lo faranno con politiche fiscali espansive da una parte e immigrazione (che Trump non ha mai fermato sul serio) e spinta alla produzione domestica di energie fossili (che Biden ha tacitamente dato) dall’altro.

In Europa un eventuale cambio politico al parlamento europeo non produrrà effetti rilevanti finché non sarà confermato (se lo sarà) da un cambio politico in Francia nel 2027. In Germania l’avanzata di AfD produrrà prima o poi una caduta della coalizione attuale e un ritorno al potere di una CDU non più merkeliana, nulla di più. Nel Regno Unito il Labour che vincerà non sarà anti-business.

C’è poi un aspetto ulteriore, molto importante e positivo agli occhi dei mercati, di questo malessere dell’elettorato. La debolezza di Biden, Scholz e Macron continuerà infatti a tradursi in politiche fiscali espansive e in pressione sulle banche centrali affinché smettano di essere restrittive il prima possibile.

Insomma, finché non ci saranno di nuovo le barricate a Parigi, i mercati vedranno soprattutto l’aspetto positivo del malessere, ovvero i governi che mantengono i sussidi che avrebbero voluto tagliare, che assumono personale più che possono (in America) e che non osano alzare troppo le tasse.

Molto convinti della bontà delle loro motivazioni rialziste, i mercati cercheranno in tutti i modi di assorbire bene gli stress derivanti dalla politica. E anche quelli del grande gioco geopolitico, a partire dal lento allargamento del conflitto mediorientale per arrivare al voto imminente a Taiwan, che verrà vinto dal partito indipendentista.

Verrà assorbito anche il rimbalzo dell’inflazione.

I mercati dovranno però moderare il loro ottimismo e considerare che le banche centrali non sono ancora pronte a tagliare i tassi. Una fase laterale, in queste circostanze, sarebbe da preferire a una continuazione di un rialzo a tutti i costi. Il rialzo riprenderà, ma bisogna dare tempo al tempo.

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