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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

QUATTRO MAGGIO 1919

Cina e America, il conflitto che non può diventare guerra aperta

Si è molto discusso, nelle scorse settimane, della concessione di una parte del porto di Trieste che l’Italia darà alla Cina nell’ambito degli accordi per la Via della Seta. Si è però ricordato poco che l’Italia, dal 1901 al 1943, mantenne in Cina un possedimento coloniale di 46 ettari, la concessione di Tientsin. Era un quartiere con diecimila abitanti, con disegno urbanistico e architettonico identico a quello dei quartieri cittadini italiani dell’epoca, ed era controllato dal Regio Esercito e dalla polizia italiana.

Si è molto discusso, nelle scorse settimane, della concessione di una parte del porto di Trieste che l’Italia darà alla Cina nell’ambito degli accordi per la Via della Seta. Si è però ricordato poco che l’Italia, dal 1901 al 1943, mantenne in Cina un possedimento coloniale di 46 ettari, la concessione di Tientsin. Era un quartiere con diecimila abitanti, con disegno urbanistico e architettonico identico a quello dei quartieri cittadini italiani dell’epoca, ed era controllato dal Regio Esercito e dalla polizia italiana.

La Tientsin italiana, la Macao portoghese, l’Hong Kong Britannica, lo Shandong tedesco e decine di altri possedimenti russi, belgi, francesi e americani erano spazi che le potenze si erano ritagliate nel tempo nella debolissima sovranità cinese. Per avere un’idea del nessun conto in cui veniva tenuta la Cina, che pure aveva partecipato con 140mila arruolati nella British Army sul fronte francese della prima guerra mondiale, basta ricordare che lo Shandong tedesco, che era stato promesso come ricompensa alla giovane repubblica cinese, fu dirottato dal trattato di Versailles verso il Giappone.

Per protestare contro questa decisione, tra l’altro in palese contrasto con la retorica sull’autodeterminazione dei popoli del presidente americano Wilson, il 4 maggio 1919 scesero in piazza a Pechino alcune migliaia di studenti, dando vita a un movimento patriottico esteso a ceti borghesi e popolari. Dal Movimento del Quattro Maggio, tre anni più tardi, avrebbe attinto quadri e militanti il nascente partito comunista cinese, che avrebbe guidato, insieme ai nazionalisti del Kuomintang, la riscossa nazionale e antigiapponese dei tre decenni successivi.

Il tweet di Trump che annuncia la quasi rottura delle trattative con la Cina e l’imposizione immediata di quelle tariffe che erano state sospese in dicembre è datato 5 maggio, poche ore dopo il centesimo anniversario del Movimento del 4 Maggio, che tutti i bambini cinesi studiano a scuola, e all’avvio di un triennio di solenni celebrazioni che si concluderanno il 27 luglio 2021, centesimo anniversario del partito.

Non sappiamo se Trump l’abbia fatto apposta (improbabile) o se si tratti di ignoranza storica o di mancanza di sensibilità. Possiamo però supporre che alle orecchie di una dirigenza cinese che si legittima come baluardo contro un mondo esterno che dalla guerra dell’oppio al 1945 ha umiliato e inferto ferite profonde alla Cina, il suo tweet sia risultato particolarmente difficile da digerire.

Nonostante questo, la Cina è passata sopra al suo orgoglio anche su un altro punto per lei rilevante, quello per cui Pechino non tratta mai con chi le sta puntando contro la pistola. Terzo segnale, la visita del negoziatore capo Liu He è stata confermata e Liu He non è stato sostituito da una delegazione di funzionari di più basso profilo, come ci si era aspettati.

Infine, l’annunciata e scontata ritorsione cinese, di segno uguale e contrario rispetto alle misure di Trump, non è stata ancora dettagliata. Poiché è difficile pensare che Pechino non tenga pronti nel cassetto piani approfonditi di rappresaglia, si può leggere in questo un piccolo atto di riguardo dal significato simbolico. La Cina vuole mantenere il conflitto ritualizzato e controllato come un duello di arte marziale a bassa intensità. Dall’altra parte del Pacifico Trump, anche nei momenti di maggiore tensione, non manca mai di ricordare il suo grande rispetto per Xi (dal quale ha appena ricevuto una lettera a suo dire bellissima) e la sua fiducia nel buon esito delle trattative.

Anche Stati Uniti e Unione Sovietica si rispettavano ai tempi della guerra fredda (oggi meno) ma mancava quella punta di intensità, di vicinanza e di calore che oggi si intravvede ancora nelle relazioni sino-americane.

Su questo punto i mercati devono evitare due forzature. Da una parte non bisogna attaccarsi troppo alle deadline del difficile dialogo tra i due paesi. Prima era dicembre, poi marzo, oggi ci si è fissati sul G-20 di fine giugno (quando Trump e Xi si vedranno insieme agli altri capi di stato) con un prima di minacce di scontri dannosi e un dopo di rinnovata fioritura degli scambi internazionali e della crescita globale.

La seconda forzatura da evitare è quella di dare troppo peso alla possibilità che il conflitto si alzi a un livello di non ritorno e che le cose possano scappare di mano e tradursi in un incidente militare vicino alle acque territoriali cinesi o in un taglio dei legami economici tale da scatenare una recessione globale.

Cina e Stati Uniti hanno capito che l’età delle illusioni è passata per sempre (l’illusione occidentale di una Cina politicamente addomesticata e grande mercato di sbocco e l’illusione cinese di un’America felice compratrice di ultima istanza di qualsiasi tipo di prodotto) e si preparano alla separazione e alla creazione nel lungo termine di due universi autosufficienti. Sono però anche consapevoli dei diabolici intrecci che ancora le legano, del fatto che la loro potenza militare è vulnerabile, perché dipende dall’elettronica dell’avversario.

La Cina sa che l’America ha ancora influenza sull’Europa e non può rischiare di perdere i due mercati insieme, come nel 5G. L’America sa che la Cina si sta saldando con la Russia, sta penetrando in Africa, sta cominciando a esercitare influenza sull’Europa.

Le imprese americane hanno ormai ben chiaro che la nuova produzione e le nuove tecnologie dovranno nascere in America o in paesi a questa geopoliticamente vicini. Alla Cina verranno riservati gli investimenti necessari per vendere in Cina, non più per riesportare. La Cina ha messo il silenziatore sui suoi programmi strategici nell’alta tecnologia, ma non li ha messi nel cassetto e ha anzi rilanciato la parola d’ordine maoista del contare sulle proprie forze.

Chi sta sui mercati seguirà doverosamente le vicende sino-americane, ma starà attento a non abbandonarsi alla depressione e vendere male nei momenti di tensione e a non abbandonarsi all’euforia e comprare male nei momenti di apparente distensione.

Per il resto segnaliamo un altro squarcio sul futuro che verrà. Lael Brainard del Fomc propone per la prossima recessione una policy per cui la Fed annuncia che terrà i tassi a zero finché occupazione e inflazione non raggiungeranno un livello prefissato. La Brainard, che se fosse stata eletta la Clinton sarebbe oggi governatore della Fed ed è quindi un membro pesante di parte democratica del Board, propone anche che la Fed faccia targeting di curva fino alla parte intermedia. Non siamo ancora al Giappone che mantiene anche il 10 anni in una fascia strettissima, ma ci stiamo avvicinando.

Non amiamo la volatilità delle prossime settimane ma restiamo investiti.

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