I grandi cicli di rialzo azionario sono accompagnati da una narrazione epica che ne canta le gesta e le luminose prospettive future. C’è tipicamente l’idea di una rottura con il passato, di un’accelerazione dei ritmi della storia e dell’ingresso in una nuova era completamente diversa da tutto quello che l’ha preceduta.
I grandi cicli di rialzo azionario sono accompagnati da una narrazione epica che ne canta le gesta e le luminose prospettive future. C’è tipicamente l’idea di una rottura con il passato, di un’accelerazione dei ritmi della storia e dell’ingresso in una nuova era completamente diversa da tutto quello che l’ha preceduta.
Il rialzo degli anni Ottanta fu la celebrazione della liberazione dall’oscuro e infelice decennio precedente. Aleggiava un’aria da Termidoro di feste e danze dopo la fine del Terrore. Il rialzo degli anni Novanta fu vissuto e cantato come l’avvento della Singolarità, della fusione tra uomini e reti, della tecnologia ormai capace di programmare se stessa e di procedere da sola verso l’infinito.
Negli anni Duemila il rialzo fu cantato come trionfo della globalizzazione da una parte e dell’ideologia della grande moderazione dall’altra, ovvero della convinzione di avere ormai trovato la formula per una crescita perpetua senza inflazione. E perfino nel nostro decennio, in generale poco luccicante, il rialzo è stato cantato come lento ma inesorabile, ingegnerizzato a tavolino dalle banche centrali ma proprio per questo praticamente indistruttibile.
Una narrazione epica ha accompagnato anche i rialzi regionali o settoriali. L’Abenomics con le sue meraviglie ha fatto da tema conduttore del grande rialzo giapponese, così come la vittoria di Macron ha accompagnato l’ultimo rialzo europeo, quello del 2017. La Cina, dal canto suo, ha alimentato per anni la speranza di una crescita forte e infinita, mentre la riforma fiscale di Trump ha indotto a sognare una nuova era di investimenti e innovazione. Quanto ai settori, il tema della disruption come vento irresistibile di trasformazione ha accompagnato l’enorme rialzo dei tecnologici di questi ultimi anni.
Poi le luci si sono spente una dopo l’altra ed è sceso il silenzio. Dopo la grande paura dell’ultima parte del 2018 tutti gli asset finanziari si sono ripresi, e anche molto bene, ma nessuno riesce più a sognare e nessuno sa più che cosa festeggiare, se non una Fed di nuovo amica (temporaneamente?) e una Cina con la quale il massimo cui si può aspirare sarà una tregua commerciale in uno scontro con l’Occidente che si profila ormai strategico.
Dove è finita la retorica delle stampanti 3D, delle auto che si guidano da sole, della realtà aumentata? Dove sono i paesi emergenti pronti a decollare?
Non stiamo parlando della realtà, naturalmente, ma della rappresentazione della realtà. Un conto è il concept, sempre levigato e perfetto, un altro conto è la progettazione e produzione. L’auto che si guida da sola è un concept eccitante finché è un sogno, quella vera che cade nel fosso è una realtà mortificante. L’auto elettrica emoziona quando è un sogno, ma costa un sacco di soldi agli azionisti quando va disegnata sul serio.
È un bene o un male, per i mercati, vivere in un 2019 senza sogni?
È un male perché il sogno gonfia i multipli azionari e aumenta la liquidità del mercato.
È un bene perché i sogni inducono ad allocare male i soldi e a correre dietro a emozioni, suggestioni o trend di mercato senza pensare bene a quello che si fa. Senza sogni le valutazioni tendono a essere più corrette e realistiche.
Il grande recupero degli ultimi due mesi è probabilmente terminato. Nonostante la sua imponenza (il 20 per cento) ha inebriato poco. Gli occhiali con le lenti rosa sono stati indossati per un paio di settimane, ma sono già stati rimessi nel cassetto. Se ci sarà un accordo soddisfacente con la Cina verranno nuovamente indossati fra un mese, ma i festeggiamenti non dureranno a lungo.
Nuovi rialzi saranno ben possibili nei prossimi mesi, ma andranno guadagnati con il sudore della fronte, ovvero con economie in crescita e utili d’impresa da creare in un contesto di costo del lavoro ormai incomprimibile e di produttività debole. Il modo facile di guadagnare in borsa, l’espansione dei multipli, è stato il protagonista del grande recupero di gennaio e febbraio, ma a questo punto, per il momento, ha esaurito la sua forza propulsiva.
Da qui in avanti, per il resto di quest’anno, è difficile che la Fed diventi ancora più amica dei mercati. La fine del Quantitative tightening è ormai annunciata ed è già nei prezzi. La Bce, dal canto suo, non ha la volontà politica di fare di più di un nuovo Tltro.
Le banche centrali, dunque, non faranno altri regali, ma dopo la paura di fine 2018 cercheranno in tutti i modi di mantenere i mercati tranquilli. Anche Trump, in vista di una difficile campagna per la rielezione, farà tutto il possibile per non danneggiare economia e mercati.
In pratica, prima che si apra un 2020 di forti tensioni politiche, faremo in tempo a vedere un 2019 relativamente tranquillo, a tratti perfino noioso. Il continuo flusso di dati negativi da Cina ed Europa, ancora in corso, non farà troppi danni ai mercati se il punto di inversione positiva del ciclo verrà avvertito come imminente, come probabilmente è.
Con un 10 per cento abbondante di rialzo medio da inizio d’anno per le borse l’idea di uscire e mettersi alla finestra è tentatrice. Si è già aperta una fase di consolidamento, ma nulla fa pensare che questo possa essere profondo. D’altra parte la seconda metà dell’anno potrebbe riprendere a essere positiva. Se infatti l’economia tornasse ad accelerare, creando qualche decimale di inflazione, le banche centrali, per qualche tempo, lascerebbero correre. Per questo rimaniamo nel mercato.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist del Gruppo e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.