In questi mesi di inflazione la banche centrali hanno dato, più o meno ufficialmente, due diversi tipi di spiegazione, una più rigida e difensiva e l’altra più articolata.
In questi mesi di inflazione la banche centrali hanno dato, più o meno ufficialmente, due diversi tipi di spiegazione, una più rigida e difensiva e l’altra più articolata.
1. Non abbiamo sbagliato, ci sono solo stati dei problemi imprevisti. Non pensavamo a una combinazione così perversa tra strozzature dell’offerta e aggressività della domanda. I nostri uffici studi alla fine del 2020 indicavano per la fine di quest’anno un’inflazione al due per cento (Fed) o sotto il due (Bce).
2. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare in una situazione di emergenza. Quando c’è una guerra, e la pandemia equivale a una guerra, prima si stampa e poi si chiede il perché. È il classico caso in cui è meglio fare troppo piuttosto che troppo poco. Non sapevamo esattamente come sarebbe andata con l’inflazione, anche perché misurare l’output gap è sempre molto difficile e lo è ancora di più in condizioni di disordine. Anche fare ipotesi sui mutamenti strutturali che shock di questo tipo possono provocare è quasi impossibile. Chi poteva ad esempio pensare che stesse diventando così difficile fare incontrare la domanda e l’offerta di lavoro? Insomma, ci spiace per questi numeri, sono un bel fastidio (Lagarde), ma non c’erano alternative.
Anche per il futuro vengono fornite due indicazioni dai toni diversi.
1. L’inflazione, come ci dicono i nostri uffici studi, scenderà l’anno prossimo sotto il due per cento (Fed) o molto vicino (Bce) Si tornerà alla normalità e ci dimenticheremo presto di questo 2021. Punto.
2. Non sappiamo bene come si comporterà questa inflazione non più transitoria (Powell). Non solo non sappiamo come andrà (De Guindos) ma i rischi sono sbilanciati verso l’alto (Schnabel). Faremo qualcosa per contenerla (tapering accelerato e tassi di policy all’uno per cento, Fed) o per alimentarla meno (fine del Pepp, Bce), ma la nostra priorità non sarà l’inflazione bensì la fine della disoccupazione (Fed).
Nulla vieta di provare a credere alla prima narrazione. Tra i tanti casi possibili, c’è certamente anche quello di un ritorno al due per cento fra 12 mesi, anche se è lecito sperare che a questo non corrisponda un brusco rallentamento della crescita globale.
Prudenza vuole però che si ascoltino attentamente gli avvertimenti impliciti nella seconda narrazione, soprattutto quando vengono da una voce particolarmente autorevole. Isabel Schnabel, che in questi due anni ha rappresentato la Germania (insieme al merkeliano Weidmann, ora dimissionario), fu scelta personalmente da Scholz nella sua veste di ministro delle finanze ed è ovviamente in sintonia con la Ampelkoalition guidata ora dallo stesso Scholz.
La Schnabel chiede di limitare al minimo il Quantitative easing futuro, ma, più che i rischi per le aspettative di inflazione, sembra avere in mente il preoccupante surriscaldamento del mercato immobiliare nel nord Europa e il rischio che una bolla fuori controllo possa un giorno sgonfiarsi male e trascinare nella caduta le banche. Nemmeno la Schnabel, in ogni caso, chiede rialzi dai tassi.
Insomma, il messaggio che arriva dall’animato dibattito interno alle banche centrali è che si cercherà di limitare gli eccessi di inflazione, ma niente di più. In pratica ci viene regalata una put sulle borse e sugli spread di credito in cambio di un’ulteriore erosione del potere d’acquisto di entità indeterminata, ma non trascurabile, per il 2022.
E che nessun ufficio studi, nemmeno quello della Fed, sia oggi in grado di prevedere con qualche grado di certezza come andrà l’inflazione risulta evidente se si considerano due incognite di grande peso, omicron e il prezzo dell’energia.
Omicron è stato prima vissuto come una catastrofe e poi, all’opposto, come una sorta di vaccino salvifico che ci donerà l’immunità a prezzo di qualche colpo di tosse. Da quel poco che si sa, tuttavia, la letalità di omicron può anche essere un quarto di quella di delta, ma se la sua contagiosità è quadrupla, come pare, il numero di ricoveri e di vittime rimarrà lo stesso di oggi. E poiché la pandemia ha assunto un profilo inflazionistico, il suo eventuale prolungarsi contribuirà a mantenere tensioni sui prezzi anche l’anno prossimo.
Quanto all’energia, la questione ucraina e la riproposizione americana dell’idea di bloccare Nord Stream 2 hanno già fatto risalire verso i massimi il prezzo del gas europeo. I mercati non dovrebbero sottovalutare la determinazione russa non tanto a invadere l’Ucraina, quanto a impedire a ogni costo, inclusa la rinuncia ai proventi dalla vendita di gas, il suo ingresso nella Nato.
La prossima settimana ci fornirà molte indicazioni sia sul fronte delle banche centrali, su quello del dialogo russo-americano sull’Ucraina e su omicron. I mercati hanno ora un posizionamento equilibrato e un atteggiamento di attesa costruttiva. La fase euforica del rialzo azionario è conclusa, ma il fondo rimane piuttosto solido. Rimetteremo in discussione l’idea di restare investiti quando ci sarà evidenza di un rallentamento della crescita, di cui per ora non c’è traccia.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist del Gruppo e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.