rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

VIVERE IN UNA BOLLA

Si deve partecipare, ma anche sopravvivere

Non solo il 2024, ma anche il 2025 sarà caratterizzato dai tagli dei tassi. Questi avranno probabilmente una tempistica diversa da quella che i mercati si aspettano oggi, ma ci saranno. Saranno di meno o di più a seconda di come andrà l’economia, ma ci saranno comunque. La politica fiscale, dal canto suo, continuerà a essere espansiva chiunque vinca le elezioni in America, in Europa o in Regno Unito.

Non solo il 2024, ma anche il 2025 sarà caratterizzato dai tagli dei tassi. Questi avranno probabilmente una tempistica diversa da quella che i mercati si aspettano oggi, ma ci saranno. Saranno di meno o di più a seconda di come andrà l’economia, ma ci saranno comunque. La politica fiscale, dal canto suo, continuerà a essere espansiva chiunque vinca le elezioni in America, in Europa o in Regno Unito.

Con questi presupposti occorrono sorprese negative importanti e prolungate perché il paradigma rialzista su azioni e bond venga messo da parte. Non basterà una fase di qualche mese con un’inflazione un po’ più alta delle attese, perché il mercato rimarrà a lungo convinto che il trend di medio periodo è disinflazionistico. Non basterà nemmeno un modesto rallentamento della crescita a fare cambiare l’impostazione di fondo, perché un eventuale raffreddamento del ciclo economico rafforzerà i bond lunghi di qualità e questo, per l’azionario, compenserà il rallentamento della crescita degli utili.

Senza contare il ripristino della put della Fed, ovvero della possibilità e volontà, da parte delle banche centrali, di sostenere economia e mercati in caso di difficoltà. Come ogni guerra porta con sé lo sviluppo di armi nuove, ogni crisi porta all’utilizzo di strumenti monetari nuovi e più mirati. Negli anni si è dunque costruito un arsenale potente per mitigare le crisi (quantitative easing, strumenti ad hoc di natura quasi fiscale per sostenere i comparti in difficoltà, come abbiamo visto nel 2023 con le banche). Inoltre dalla metà del 2022 si è ricostituito un ampio margine per tagliare i tassi in caso di recessione, senza più bisogno, la prossima volta, di portare i tassi ufficiali a zero e quelli di mercato sotto zero.

Insomma, tutto è sempre possibile, da un aggravarsi del quadro geopolitico a una ripresa dell’inflazione (o un arresto improvviso della crescita), ma i portafogli non vanno costruiti sul possibile, bensì sul probabile. E il probabile è che le condizioni generali rimangano favorevoli a un bull market azionario e obbligazionario per i prossimi 12-18 mesi e che questo continui a essere guidato dai pochi titoli che hanno guidato il rialzo fino ad oggi, almeno fino a quando i dati sulla crescita degli utili li vedranno in prima fila rispetto ai settori tradizionali della vecchia economia.

Il problema, per l’azionario, è che il rialzo non parte da valutazioni e utili ultradepressi come fu nel 1983, nel 2003, nel 2009 o nel 2020, ma da livelli da metà ciclo per la maggioranza dei titoli e da una base generosa, anche se non folle, per i pochi fortunati della tecnologia per i quali il mercato stravede.

Le borse salgono quasi ininterrottamente e di buon passo dall’ottobre del 2022 e nelle ultime settimane, particolarmente vivaci, una parte importante del rialzo viene dal retail e da quei gestori che, finora riluttanti a entrare aggressivamente nella grande tecnologia, stanno capitolando e acquistando proprio quei titoli per non rimanere troppo distaccati dai concorrenti più o meno indicizzati.

Il ricorso crescente ai prodotti indicizzati, per inciso, rischia di provocare un impoverimento di conoscenze e un’allocazione subottimale. Il numero di analisti sell side scende perché le case tagliano i costi e tutto l’apparato della finanza si regge sulle valutazioni di poche persone. Come dice David Einhorn, si compra pensando che tutti gli altri abbiano studiato la società, ma non è così. Alla fine, aggiungiamo, si delega l’allocazione a quei ristretti comitati che aggiornano periodicamente la composizione degli indici e che spesso includono nuovi titoli più rincorrendo le mode che guardando la loro rappresentatività.

Tornando alla questione di come comportarsi in caso di mercati con condizioni al contorno positive ma valutazioni già elevate, ribadiamo che nei rialzi bisogna starci, anche quando assumono il profilo della bolla, ma con i dovuti accorgimenti. La scelta di questi accorgimenti va fatta caso per caso.

Nel caso attuale, in cui la Fed ha a disposizione una sovrabbondanza di tagli dei tassi, non sembra il caso di spendere troppi soldi acquistando put sull’indice, che potrà avere ribassi repentini (per effetto del carico di put vendute) ma brevi e limitati. Invece di spendere in put è meglio incassare le ottime cedole della parte breve-media della curva dei rendimenti obbligazionari, da acquistare anche a leva se hanno funzione di copertura.

Quanto alla scelta dei settori, non si può rimanere troppo fuori dal comparto trainante, per caro che appaia. Le rotazioni verso ciclici e valore ci saranno, e saranno anche molto ampie e profonde, ma dovranno attendere un’inversione nelle attese sui tassi e sulla crescita. Tempi lunghi.

Nel frattempo il contesto di tassi in discesa e crescita che resta forte rimarrà strutturalmente favorevole ai titoli di crescita. Qui sì che, quantomeno sui nomi più brillanti, si potranno acquistare call a un anno. Gli investitori più cauti e avversi alle perdite potranno destinare il ricavato delle cedole obbligazionarie all’acquisto di queste call. Altri potranno continuare a sottopesare i titoli brillanti, mantenendone comunque la quantità che permette loro di dormire di notte anche nel caso questi si dimezzino, come è avvenuto nel 2022.

Altri ancora, i pochi che ne hanno la possibilità, potranno scegliere una strada completamente diversa e andare controcorrente, comprando azioni escluse dai grandi indici e con valutazioni particolarmente basse. Il rischio, e qui citiamo ancora Einhorn, è che in un mondo che rincorre gli indici non rimanga nessuno a cui vendere questi titoli a meno che le società non facciano riacquisti di azioni proprie.

Ci sono investitori che si trovano più a loro agio quando possono muoversi in mercati sottovalutati. Altri preferiscono invece i mercati vivaci, che in poco tempo possono rendere molto. Il messaggio che vorremmo dare è che, in certe situazioni, si può continuare a essere investitori del primo tipo senza per questo precludersi qualche soddisfazione anche quando i mercati cominciano ad apparire cari.

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